domenica 18 febbraio 2018

Corriere 18.2.18
Rileggere la storia
L’Austria e l’Alto Adige: idee inutili, forse dannose, non è questione di passaporti
di Sergio Romano


Durante la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento di Vienna un candidato ha promesso che il suo partito, se avesse vinto le elezioni, avrebbe offerto il passaporto austriaco a tutti i cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano. L’uomo politico era Heinz-Christian Strache, leader di una forza politica (il Partito austriaco della libertà) che fu diretta da Jörg Haider e non nascose in alcuni momenti una nostalgica simpatia per il regime nazista. Haider è morto nel 2008 dopo avere addolcito le sue posizioni e abbandonato la sua vecchia famiglia politica.
m a il partito esiste ancora, ha ottenuto il 26% dei voti nelle elezioni dello scorso ottobre ed è il compagno indispensabile del Partito popolare austriaco nel governo presieduto dal cancelliere Sebastian Kurz. Strache, quindi, è vicecancelliere. Esisterà in Italia, nei prossimi anni, una provincia binazionale in cui Bolzano (città prevalentemente abitata da uomini e donne di lingua italiana) dovrà convivere con città e borghi (fra cui Bressanone, Brunico, Merano, Vipiteno) in cui la maggioranza degli abitanti è quasi sempre tedesca? Quali saranno i diritti e i doveri degli uni e degli altri? I neotedeschi conserveranno il loro passaporto italiano? Dovranno fare il servizio militare (in Austria esiste ancora) nella patria «riconquistata»? Avranno diritto di voto in entrambi i Paesi? Il governo di Vienna ha dichiarato che non intende prendere decisioni unilaterali e che tutto verrà fatto «con spirito europeo». Ma ha creato una Commissione che avrà il compito di studiare il problema e fare proposte. Se mi fosse permesso, farei qualche raccomandazione.
Raccomanderei alla Commissione, in primo luogo, di riflettere sull’uso che è stato fatto di proposte analoghe, soprattutto in tempi recenti. Qualche anno fa, prima della guerra russo-georgiana del 2008, mentre il clima fra i due Paesi stava rapidamente peggiorando, Mosca prese l’abitudine di concedere il passaporto russo agli abcasi e agli osseti: due gruppi etnici del Caucaso che la storia, la politica e la geografia, in epoca sovietica, avevano collocato all’interno dei confini georgiani. Le intenzioni russe non erano amichevoli. Irritata, non senza qualche motivo, dalla politica filo-americana del presidente georgiano Mikheil Saak’ashvili, la Russia di Dmitrij Medvedev e Vladimir Putin stava creando le condizioni per l’uscita dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud dallo Stato georgiano. Un confronto con i rapporti italo-austriaci dei nostri giorni sarebbe fuori luogo, ma non credo che il governo italiano abbia dimenticato gli anni in cui l’«irredentismo» austriaco nella provincia di Bolzano divenne bellicoso e soprattutto i molteplici attentati della «notte dei fuochi» fra l’11 e il 12 giugno 1961.
Raccomanderei alla Commissione austriaca, in secondo luogo, di rileggere la storia del modo in cui Roma e Berlino, dopo l’annessione tedesca dell’Austria nel 1939, decisero di risolvere il problema della provincia di Bolzano. Hitler era troppo interessato al valore politico della alleanza italiana per rimettere in discussione la frontiera del Brennero. Ma era troppo razzista per abbandonare una tribù germanica nelle mani di un popolo latino. Durante un incontro a Berlino con una delegazione italiana, il maresciallo Göring propose che ai cittadini italiani di lingua tedesca della provincia di Bolzano venisse offerta la possibilità di scegliere la cittadinanza tedesca. Avrebbero avuto il passaporto del Terzo Reich ma si sarebbero trasferiti in Germania dove il regime nazista avrebbe offerto abitazioni e condizioni di vita simili a quelle di cui avevano goduto sino al momento della partenza.
Gli optanti furono circa 185.000 e quelli che decisero di restare in Italia circa 80.000. Ma di lì a pochi mesi scoppiò la Seconda guerra mondiale e l’operazione «trasferimento» andò per le lunghe. Dopo l’8 settembre, quando le forze militari tedesche si installarono a sud del Brennero, le partenze furono interrotte e i giovani bolzanini furono reclutati dalla Wehrmacht. Nei primi mesi del 1949, alla stazione orientale di Vienna, ne ho incontrati qualche dozzina. Erano stati inviati a combattere sul fronte russo, avevano passato quattro anni nei campi di concentramento sovietici ed erano stati liberati come italiani quando due uomini di Stato (Alcide De Gasperi per l’Italia e Karl Gruber per l’Austria) avevano raggiunto una intesa: il confine dell’Italia sarebbe rimasto al Brennero e la provincia di Bolzano avrebbe avuto uno statuto di larga autonomia.
Negli anni precedenti era cominciato il ritorno in Italia di una parte di quelli che avevano scelto la Germania. Erano circa 20.000 e i loro faldoni pieni di documenti per il recupero della cittadinanza italiana occuparono per alcuni anni gli archivi della Prefettura di Bolzano e del Consolato generale d’Italia a Innsbruck: le due stazioni di transito per il lungo viaggio burocratico di coloro che avevano scelto di essere tedeschi nel momento sbagliato.
L’accordo De Gasperi-Gruber fu possibile perché entrambi i firmatari (il primo nato in provincia di Trento nel 1881, il secondo a Innsbruck nel 1909) erano stati cittadini austro-ungarici. Ma il diavolo, come sempre, era nei dettagli. Dopo la stretta di mano a Parigi il 5 settembre 1946 dovettero passare 23 anni prima che Aldo Moro e Kurt Waldheim, ministri degli Esteri dell’Italia e dell’Austria, firmassero un accordo a Copenaghen; e altri 3 per l’approvazione di uno Statuto che garantiva l’autonomia della Regione. Nel frattempo anche la provincia di Trento era salita bordo del treno per godere degli stessi vantaggi riservati a quella di Bolzano: un’operazione che ebbe l’effetto di riunire, come nel 1915, le sorti delle due città.
Alla Commissione direi infine che le riparazioni sono necessarie quando una macchina si rompe. Se continua a funzionare è meglio evitare riparazioni inutili e forse dannose.