Corriere 16.2.18
La fotografia dell’intelligenza
di Giuseppe Remuzzi
Usa, la risonanza magnetica mostra le aree dove c’è maggiore entropia
Ora la sfida degli scienziati è cercare nessi con il quoziente intellettivo
D
avvero si potrà fotografare l’intelligenza come si fotografa un fiore,
un albero, un volto? Probabilmente sì, con quella che i medici chiamano
risonanza magnetica funzionale per esempio, che può essere in tre
dimensioni capace di creare una mappa, un po’ come fosse una carta
geografica del nostro cervello. E la risonanza magnetica funzionale non
si limita a fotografare, riesce persino a identificare le attività delle
diverse aree della corteccia cerebrale con tutte le loro eterogeneità; e
la misura dello stato di disordine del cervello (come di qualunque
altro sistema fisico incluso l’universo) i fisici la chiamano entropia.
L’entropia nel nostro caso dipende dal flusso nei vasi sanguigni
dell’encefalo ma anche dal metabolismo e dal consumo di ossigeno. A
parte i traumi, aree di alta e bassa entropia configurano condizioni di
danno, una emorragia per esempio, o un infarto, o un tumore. Negli
ultimi anni però si vorrebbero usare queste tecniche per scoprire le
emozioni, e perfino la natura di certi comportamenti. Cosa succede nel
cervello di chi assiste a un concerto o di chi si abbandona al piacere
della buona cucina o vive la gioia di una serata d’amore? Succede che in
certe aree del cervello arriva più sangue, si libera dopamina —
sostanza che garantisce le comunicazioni tra cellula e cellula — ma
anche encefaline, endorfine e altri ormoni.
Ma allora perché non
utilizzare la risonanza magnetica funzionale per studiare
l’intelligenza? Sì, avete letto bene, l’intelligenza. Un lavoro appena
pubblicato su Plos One dimostra che con la risonanza magnetica
funzionale è possibile correlare aree di maggiore entropia con i due
test di intelligenza maggiormente usati, il «Shipley Vocabulary» che ha a
che fare soprattutto con la loquacità e il «Wasi Matrix Reasoning» che
misura la capacità di risolvere problemi. Lo hanno fatto in 892
americani e si sono accorti che il rapporto fra entropia e intelligenza è
soprattutto a carico della corteccia prefrontale, dei lobi temporali
inferiori e del cervelletto. Dove c’è entropia il cervello è più attivo,
dinamico, versatile e capace di processare un grande numero di
informazioni, nulla di tutto questo succede dove c’è bassa entropia. Un
cervello intelligente deve saper connettere tantissime informazioni e
saperlo fare velocemente, anche perché nel cervello, di neuroni, ce ne
sono 100 miliardi (proprio quante sono le stelle della Via Lattea).
Questi neuroni non si attivano tutti contemporaneamente — sarebbe un
disastro se no — ma quali e quanti se ne attivano quando leggiamo,
cerchiamo di ricordare, riconoscere una voce, risolvere un problema
nuovo? E quali e quanti neuroni si connettono tra loro in queste
circostanze e in altre del genere? Non lo sappiamo ancora, e in questo
il lavoro di Plos One non ci aiuta, ma apre una strada nuova ammesso che
sia davvero possibile un giorno legare i segnali che arrivano dalle
neuroimmagini di risonanza magnetica al grado di intelligenza degli
uomini. Saranno necessari molti altri studi, per ora siamo davvero agli
inizi, perché la correlazione tra entropia del cervello e quoziente di
intelligenza per quanto emerge dai dati di Plos One è piuttosto debole. E
poi cosa è l’intelligenza? E di quale intelligenza parliamo? Quella
logico-matematica o cinematografica-musicale o pragmatico-meccanica? E
ce ne sono altre, fino a 120.
Insomma sono problemi molto
complessi, le neuroimmagini aiutano ma c’è altro, e bisognerà integrare i
dati di risonanza magnetica funzionale con i molti geni associati
all’intelligenza e con l’influenza dell’ambiente.
Il lavoro di
Plos One , con tutti i suoi limiti, apre comunque prospettive di grande
interesse. Immaginiamo che in futuro i segnali della risonanza magnetica
funzionale possano essere usati per diagnosticare la depressione, i
disordini da stress post-traumatico e anche l’autismo o la schizofrenia,
sarebbe un grosso passo avanti, soprattutto il giorno che avremo
farmaci efficaci. Per quello che si sa adesso, il grado di entropia
secondo i ricercatori di New York correla (forse) con i test di
intelligenza, soprattutto per quanto riguarda l’attività della regione
frontale del cervello dove ci sono aree che ci rendono capaci di
pianificare le nostre attività e controllare le emozioni. Per adesso
l’intelligenza riusciamo a fotografarla, chissà che domani con
interventi di ingegneria genetica ( gene editing per esempio ma dovremo
trovare i geni) non sia persino possibile aumentarla. Se ne fossimo
capaci, e se fosse sicuro, sarebbe giusto farlo? Non lo so, sono cose
che esulano dalla competenza della scienza, è materia per filosofi e si
dovrà coinvolgere la società civile e chi legifera.