Corriere 16.2.18
Il rebus Dj Fabo La Consulta e il lasciarsi morire
di Sabino Cassese
La
punizione dell’aiuto al suicidio rispetta la libertà costituzionale di
decidere quando e come morire, e può essere sanzionata nello stesso modo
dell’istigazione al suicidio? Questa è la domanda che la Prima Corte di
assise di Milano ha posto alla Corte costituzionale. Il giudice
milanese non dubita che determinare altri al suicidio o rafforzarne il
proposito debbano esser puniti. Si chiede se il solo fatto di
accompagnare in auto in Svizzera Fabiano Antoniani, detto Fabo, perché
questi realizzasse il suo proposito di suicidarsi, possa essere
considerato un reato, commesso da Cappato. L’istigazione e l’aiuto al
suicidio sono puniti dall’articolo 580 del codice penale Rocco (1930).
La Corte di Cassazione ha interpretato «aiuto» nel senso più ampio,
includendovi qualsiasi contributo materiale al suicidio. La Corte di
assise di Milano fonda il suo ragionamento su numerosi articoli della
Costituzione italiana e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
come interpretati rispettivamente dalla Corte costituzionale italiana e
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il potere della persona di
disporre del proprio corpo — dice la Corte — include la libertà per
l’individuo di decidere sulla propria vita. Il diritto di lasciarsi
morire deriva dal diritto all’autodeterminazione e dal diritto al
rispetto della vita privata — sostengono i giudici milanesi. La Corte
costituzionale, ora chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale
della legge, ha davanti un problema non facile. La prima difficoltà
deriva, paradossalmente, dai progressi fatti dalla medicina. Questa
riesce oggi ad assicurare la sopravvivenza delle persone anche in
condizioni estreme, mentre una volta la morte sopravveniva in modo
naturale. La seconda deriva dalla ardua definizione della nozione stessa
di vita: può definirsi tale quella del corpo di un individuo
tetraplegico, cieco, non autonomo nella respirazione,
nell’alimentazione, nell’evacuazione, con ricorrenti contrazioni e
spasmi? Qualche decennio fa, un problema analogo si pose per la
definizione di morte. Una commissione medica, negli Stati Uniti, decise
che questa si verifica con la morte cerebrale. Tale conclusione venne
accettata dovunque e ha dato vita a centinaia di persone, consentendo
trapianti di organi che prima non erano possibili, a cominciare dal
cuore. La terza deriva dalla contraddittorietà delle norme legislative
italiane. L’aiuto al suicidio è punito, non lo è il tentato suicidio.
L’aiuto al suicidio è punito, ma al medico, nel caso di pazienti con
prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, in presenza
di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, è consentito di
ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua, in associazione
con la terapia del dolore, con il consenso del paziente. L’ultima
difficoltà deriva dalla necessità di delimitare l’aiuto al suicidio, per
evitare che una sua decriminalizzazione possa essere intesa come una
legittimazione della istigazione al suicidio. Nel luglio 2009, una
solenne adunanza dell’Appellate Committee dell’House of Lords inglese
decideva un caso simile. Debbie Purdie, una donna colpita da sclerosi
multipla, si chiedeva se non fosse una violazione dei diritti umani non
sapere, prima della sua prossima morte, se suo marito sarebbe stato
punito per accompagnarla in una clinica svizzera per realizzare la sua
decisione di suicidarsi. Molti dei presenti, nella austera e fastosa
sala delle udienze, erano commossi, sia per la dolorosa richiesta e la
prova di affetto che veniva così manifestata, sia perché quello era
l’ultimo giorno di vita di una istituzione pluricentenaria, i cosiddetti
Law Lords (dopo qualche giorno sarebbe entrata in funzione la Corte
Suprema del Regno Unito). La Corte decise che il diritto alla vita
privata di quella donna meritava rispetto e che il marito che l’avrebbe
accompagnata nell’ultimo viaggio, verso la morte, non poteva esser
ritenuto colpevole.