lunedì 19 febbraio 2018

“... un assoluto disprezzo della democrazia...”
internazionale 18.2.2018
Come un colpo di stato
Ad agosto scade l’ultimo dei piani di salvataggio imposti alla Grecia a partire dal 2010. La sovranità del paese è stata azzerata, la situazione sociale è disastrosa e la fine della crisi è ancora lontana
di Edward Geelhoed, De Groene Amsterdammer, Paesi Bassi.


Non c’è niente di più surreale che girare per Atene pensando ai rapporti della troika (il gruppo formato da Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea). Davanti all’Evangelismos, il più grande ospedale greco, la fila per il pronto soccorso si vede da lontano. All’interno c’è una temperatura di trenta gradi e c’è chi aspetta anche sei ore in una sala soffocante. Vecchie ambulanze arrivano e ripartono. La troika ha scritto nei suoi memorandum: “Noi proteggiamo i più deboli”. Ma negli ultimi anni il bilancio di questo ospedale si è più che dimezzato. Manca tutto, in particolare gli infermieri. In Grecia ne servirebbero trentamila, ha dichiarato di recente il ministero della salute. Ogni infermiera si occupa di una cinquantina di pazienti, di notte circa ottanta, e molte si ammalano a causa dei lunghi turni di lavoro. Nei corridoi passano albanesi sudati con il marsupio che distribuiscono biglietti da visita. Fanno da intermediari per chi vuole affittare un televisore o un’ambulanza privata. O un’infermiera privata, “esperta, affidabile e greca”. Per cinquanta euro ti assiste per mezza giornata, per venti ti aiuta a fare la doccia. In realtà si tratta di donne georgiane o bulgare che prima della crisi lavoravano come ragazze alla pari e ora si arrangiano, in nero e senza diploma. “Chi se la può più permettere, un’infermiera?”. Stathis avanza a piccoli passi nell’atrio dell’ospedale con la sua  flebo. Poco più avanti una busta passa di mano, la donna con l’accento straniero conta le banconote, quella greca piange. “Due o tre anni fa avevamo ancora qualche risparmio”, dice Stathis, “ora non resta più niente. Non è colpa degli albanesi, è stata la troika a creargli un mercato”. Ogni tanto la polizia arriva e arresta le infermiere irregolari. A volte anche i neonazisti di Alba dorata controllano i passaporti. un quarto dei greci ha perso la copertura sanitaria. Eppure due anni fa la Commissione europea scriveva: “Il governo greco deve garantire a tutti l’accesso alla sanità, anche a chi non è assicurato” e “una società più giusta richiede un sistema di assistenza sociale”. Negli ospedali mancano lenzuola, garze e medicinali. Il numero di aborti clandestini è in forte aumento, la psichiatria è stata praticamente cancellata. Il 20 marzo del 2017 l’ospedale di Volos ha esaurito il suo budget mensile e ha cominciato a rifiutare i malati di cancro. su ordine del ministero, che secondo la troika dev’essere più “parsimonioso”. Le infezioni sono sempre più frequenti, e girano un sacco di racconti su interventi di routine finiti con la morte dei pazienti. I medici migliori sono partiti per l’estero. Questa è la Grecia sette anni dopo l’arrivo della troika. È un declino senza fine, con conseguenze drammatiche: migliaia di persone sono morte di una morte evitabile, riconducibile alle politiche di austerità. Ma nonostante tutto c’è aria di rassegnazione. Dopo che Syriza, il partito del premier Alexis Tsipras, è stato messo in ginocchio nel luglio del 2015, la protesta si è spenta. Le manifestazioni sono finite, la rabbia si è trasformata in disperazione, molti si sono chiusi in casa. Le notizie sulla Grecia sono sparite dai mezzi d’informazione internazionali, ma la crisi c’è ancora. Com’è riuscita la troika a fare tutto questo? Si sente spesso parlare di “abuso di potere”, ma com’è andata esattamente? Quali sono gli interessi in gioco? Come valuta le sue scelte la troika stessa quando si guarda indietro?
A queste domande non c’è nessuna risposta. Il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca centrale europea (Bce) e l’ex presidente dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem hanno respinto ogni richiesta di chiarimento. solo Matthias Mors, per anni rappresentante della Commissione ad Atene, aveva accettato di parlare. Anche se non è più in servizio, ha dovuto chiedere il permesso a Bruxelles, e gli è stato rifiutato. La troika, a quanto pare, preferisce lavorare dietro le quinte. Non deve rendere conto ai cittadini, ha un potere immenso e incontrollato. In Grecia invece la volontà di chiarire c’è. Questa inchiesta porta ai ministeri greci delle finanze e del lavoro e all’eurogruppo, dove la troika esercita il suo massimo potere. Parlare con gli interessati aiuta a farsi un’idea della situazione: quello in corso in Grecia dal 2010 non è altro che un progressivo colpo di stato, un golpe europeo mascherato. Prima le banche
È cominciato tutto alla fine del 2009.
Il governo dei socialisti del Pasok si trovò alle strette a causa di un deficit di bilancio del 13 per cento (ereditato dai conservatori di Nea dimokratia). I mercati finanziari chiedevano interessi da usura per i prestiti di cui lo stato greco aveva bisogno per pagare i suoi debiti. si profilava la minaccia di un fallimento, e la cancelliera tedesca Angela Merkel si rifiutava d’intervenire. Solo quando le banche tedesche e francesi rischiarono il crollo a causa delle decine di miliardi di euro prestati alla Grecia, Berlino e Parigi decisero di muoversi. Un secondo giro di aiuti alle banche finanziato dalle tasse francesi e tedesche non era giustificabile, così nacque la troika: la Commissione europea, la Bce e l’Fmi avrebbero salvato la Grecia. stilarono una procedura in base alla quale i soldi arrivavano ad Atene e tornavano subito ai creditori. Nel frattempo veniva raccontata la storia dei “greci scialacquatori”, che non era del tutto falsa ma nascondeva il fatto che erano state le banche a essere salvate, non la Grecia.
Una ricerca dell’istituto tedesco Esmt mostra che il 95 per cento dei 216 miliardi di euro dei primi due pacchetti di emergenza andò al pagamento di debiti e interessi, all’Fmi e alle banche tedesche, francesi ed elleniche, mentre lo stato greco ottenne una percentuale minima. Il terzo accordo ha funzionato allo stesso modo: gli 8,5 miliardi di euro sbloccati dalla troika a giugno del 2017 non sono finiti “ai greci”, ma soprattutto all’Fmi e alla Bce. Per “guadagnarseli” Atene ha dovuto tagliare le pensioni per la tredicesima volta. Allo stesso tempo, secondo una stima del Leibniz institute for economic research, fino al 2015 Berlino ha risparmiato qualcosa come cento miliardi di euro in interessi sui titoli di stato perché gli investitori cercavano in Germania un porto sicuro e vi depositavano il proprio denaro a tassi molto bassi. La Bce ha guadagnato più di otto miliardi di euro grazie agli interessi greci, l’Fmi più di tre miliardi.
La Grecia è continuamente costretta ad accettare tagli tramite un “waterboarding finanziario”, come lo ha definito l’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis. Il ricatto funziona così: il governo greco deve pagare i debiti e cerca di mitigare le richieste troppo dure della troika. La troika rifiuta, il tempo passa, la bancarotta si avvicina e alla fine Atene accetta tutte le richieste, per quanto impossibili, e la troika versa parte del denaro. È quello che successe nel luglio 2013, quando Dijsselbloem bloccò una tranche da due miliardi di euro perché Atene aveva soddisfatto solo 21 delle 22 condizioni. L’obiettivo non rispettato era il licenziamento di 4.200 funzionari: sulla lista fornita dal governo c’erano solo 4.120 nomi. Il ministro dell’istruzione voleva risparmiare gli insegnanti che avevano ottenuto un master. Quando furono mandati a casa anche loro, i soldi furono versati. La troika aveva presentato la sua politica nei minimi dettagli in tre memorandum, tutti in inglese, che di fatto esautoravano completamente il governo greco. Nel 2010 i ministri greci ammisero di non aver avuto il tempo di leggere il primo corposo documento prima di firmarlo. Per quanto riguarda il terzo accordo, nel 2015, il parlamento ebbe un giorno e mezzo di tempo per accettare 977 pagine di legislazione senza cambiare neanche una parola. Il parlamento greco non ha più nessuna autonomia. se prende da solo qualche decisione viene accusato di “agire unilateralmente”, e questo è vietato. Quando Syriza voleva dare buoni alimentari ed energia elettrica ai più poveri, la troika ha mandato un’email: “Non fatelo”. Se il governo non rispetta ogni desiderio della troika, il prestito non arriva: è questo il colpo di stato silenzioso, e l’asservimento di Syriza è un golpe minore al suo interno. Varoufakis ha raccontato che una volta chiese all’allora ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble: “Lei accetterebbe questo accordo?”. Dopo un attimo di silenzio, Schäuble rispose: “No, sarà terribile per i vostri cittadini”. Varoufakis: “E allora perché mi costringe ad accettarlo?”. Schäuble: “Non capisce? L’ho già fatto in Irlanda, in Portogallo e negli stati baltici. A noi interessa la disciplina, e io voglio portare la troika a Parigi”.
È un’idea che Varoufakis ha sentito spesso: tutto ruota intorno a Parigi e Roma. La Grecia serve da spauracchio, da “laboratorio di crudeltà”. La troika e i paesi dell’eurozona agiscono in base a un intreccio d’interessi. Al centro ci sono le banche e il controllo sull’Europa meridionale, ma anche ideologia, profitto economico e il rifiuto di ammettere gli errori. E sete di vendetta.
Nel 2010 Timothy Geithner, allora ministro delle finanze statunitense, aveva partecipato a una cena con i leader europei e aveva origliato alcuni discorsi: “Daremo una bella lezione ai greci”, “Ci hanno mentito, li stritoleremo”. Naturalmente c’è molto da rimproverare ai governi greci. Nepotismo e corruzione abbondavano già prima dell’intervento della troika, anche nella società: famiglie che continuavano a riscuotere la pensione di un parente defunto, persone che si fingevano cieche per ricevere sussidi. Ma queste cose non succedevano solo in Grecia, e non si può parlare di una “società colpevole”.
In un’intervista a distanza – è continuamente in viaggio per promuovere il suo nuovo partito, Diem25 – Varoufakis afferma: “Come insegna Shakespeare, se vuoi nascondere un misfatto devi compierne un altro e un altro ancora, fino a intrecciare una tela assurda e confusa. È così che è cominciata anche questa vicenda. Con il primo salvataggio Berlino e Parigi misero al sicuro le loro banche, senza pensare al futuro. Ma poi scoprirono che per avere il consenso dei parlamenti dovevano essere dure con i greci. Così la Germania chiese la partecipazione dell’Fmi, il despota dei paesi poveri, per imporre tagli senza precedenti. Quando gli analisti dell’Fmi informarono i loro capi che il risultato sarebbe stato una nazione fallita, si sentirono rispondere di stare zitti e di mettere per iscritto il ‘giusto’ esito”.
Nel 2012 l’economia greca aveva già perso quasi un quarto del suo valore. “La troika fu presa dal panico”, ricorda Varoufakis. “Per nascondere gli errori emise un secondo prestito e creò una piccola ondata speculativa che definì ‘il successo greco’ per fingere che il programma funzionava. Se qualcuno osava dissentire, la troika diceva che era stata Atene a non applicarlo bene, tirando in ballo le pensioni generose, i lavoratori indegni, la corruzione e altre mancanze, che certamente esistono ma che in quel caso non c’entravano niente”. Quando i telegiornali annunciarono il “salvataggio greco”, Harald Schumann capì che in gioco c’era ben altro.
Schumann si occupava di finanza per il quotidiano tedesco Der tagesspiegel fin dal crollo della Leh man Brothers, e sapeva che in Grecia erano in ballo miliardi di euro tedeschi: in realtà erano le banche tedesche che venivano salvate. “Quando lo scrissi fui subito definito un complottista.
Un nazionalismo emotivo investì la stampa tedesca, che ancora oggi segue fedelmente la linea del governo. Un mistero”.
Per il documentario Trail of the troika, Schumann intervistò Jörg Asmussen (Bce), Albert Jäger (Fmi) e Thomas Wieser (eurogruppo). Quando chiedeva spiegazioni sul fallimento o prove della ripresa greca, otteneva solo frasi di rito o negazioni, da “la vedo diversamente” a “no comment”. “È la mentalità del tecnocrate: conta solo la dottrina di mercato”, dice Schumann. “Anche quando l’Fmi ammise di aver quantificato in maniera errata i tagli, la troika non cambiò una virgola del suo programma. A queste persone la miseria dei greci non interessa, si spostano tra hotel e sale riunioni e non vedono nient’altro”. La presa di potere della troika in Grecia non è giustificata da nessun trattato europeo, sottolinea Schumann: “C’è un assoluto disprezzo della democrazia. A luglio del 2015 il sociologo tedesco Jürgen Habermas disse che Angela Merkel ‘aveva svenduto in una notte mezzo secolo di diplomazia tedesca’.
Ma anche nel mio giornale il mito della troika resiste. Di recente la caporedattrice politica è stata in vacanza in Grecia e quando è tornata mi ha detto che non aveva visto neanche un bambino moribondo. Cosa gli è preso a queste persone ‘autorevoli’?”.
Io non pago
Da anni ogni mercoledì alle quattro davanti al tribunale di Atene si compie un rituale. I militanti del movimento Den plirono (io non pago), guidato da Leonidas Papadopoulos e da suo fratello Ilias, bloccano la porta dell’aula con uno striscione lungo diversi metri, su cui è scritto “Neanche una casa in mano ai banchieri”. Il loro obiettivo è respingere i notai che arrivano in tribunale per partecipare alle aste giudiziarie. Leonidas indica un angolo lontano dove otto o nove “corvi” aspettano seduti sulle panchine. “Di qua non passano!”, tuona. Il gruppo circonda i notai e gli urla in faccia: “Andatevene!”. I fratelli barbuti prendono per il braccio due donne e le spingono verso l’uscita. Loro ubbidiscono senza fare resistenza. La campagna contro le aste è riuscita. “Qui non è stata venduta neanche una casa”, dice Leonidas. “Ne abbiamo salvate dodicimila”. Molti proprietari non riescono più a pagare l’ipoteca, “ma avere una casa non è immorale, è un diritto di tutti”, affermano i militanti. Le banche greche sono in grande difficoltà con i mutui. La Bce vuole sistemare i bilanci raccogliendo quaranta miliardi di euro, e le aste sono la soluzione. Un militante di Den plirono, Nikos, tiene d’occhio i notai. È disoccupato e ha un tumore ai polmoni, le sue entrate sono pari a zero. Per un po’ ha vissuto al buio, finché Leonidas non gli ha riallacciato illegalmente l’elettricità. “Due corvi al bar!”, esclama Nikos all’improvviso. Stanno cercando di vendere una casa di nascosto, anche se è vietato. “Prendiamoli!”, grida Leonidas. I militanti fanno irruzione nel locale e si avventano contro una signora bassa, grassottella e incipriata, che per tutta risposta scaraventa uno di loro contro il bancone. In un attimo la donna si ritrova fuori con le spalle al muro, circondata dai poliziotti. In silenzio ascolta le accuse di Leonidas, con la testa girata dall’altra parte. Alla fine una macchina della polizia porta via la notaia, e il gruppo la segue. Alla centrale Leonidas vorrebbe sporgere denuncia per asta illegale. Ma presto le vendite si sposteranno su internet e i notai non avranno più problemi.
La troika vuole raggiungere 27mila aste in due anni, e Syriza è costretta a liberarsi di Den plirono autorizzando le aste online. Non è detto che funzioni: con la crisi le vendite delle case sono diminuite del 90 per cento e i prezzi sono crollati. “Le famiglie cominceranno a ritrovarsi per strada”, dice Leonidas. “A quel punto la resistenza pacifica finirà e usciranno fuori le pistole. Forse interverremo durante gli sgomberi, ma io preferisco irrompere negli uffici dei notai. È proprietà privata, ma anche le case lo sono”.
La grande svendita
In Grecia la corruzione è ancora molto diffusa, ma ora è alimentata dalla troika. Il fenomeno coinvolge gli oligarchi, i mezzi d’informazione, le banche e i vecchi partiti di governo. Sono tutti legati tra loro: i grandi imprenditori del settore edile e navale possiedono i giornali e le emittenti che difendono il Pasok e Nea dimokratia. In passato i ministri offrivano in cambio agli oligarchi leggi favorevoli e grandi progetti. Sono stati bloccati perfino dei procedimenti legali. La politica e i grandi imprenditori ricevevano prestiti dalle banche, che avevano mano libera. Syriza invece era fuori dal sistema. Quando è arrivata al potere era pulita e voleva mettere fine al clientelismo.
Sulla carta la troika aveva lo stesso obiettivo, ma l’allora presidente dell’eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, disse che Syriza non era il partito giusto per combattere la corruzione. Nella primavera del 2010, all’epoca del primo accordo, la Grecia aveva più di cinquanta tra quotidiani e settimanali. La maggior parte era in perdita, ma questo non era un problema per i ricchi proprietari, perché garantivano influenza politica. sui mezzi d’informazione si trovavano solo lodi alla troika. In occasione del referendum sul piano di salvataggio del luglio 2015, lo schieramento favorevole all’accordo con la troika ottenne sei volte più spazio rispetto a quello per il no. Gli oligarchi sostennero la troika senza indugio, e la ricompensa non si fece attendere.
Il giornalista investigativo Nikolas Leontopoulos spiega che ogni anno la troika fa un’eccezione: “Gli accordi prevedono una tassa del 20 per cento sulle inserzioni pubblicitarie, ma finora non è mai stata introdotta, è stata l’unica eccezione”. Gli oligarchi non hanno pagato le loro licenze televisive, cosa che il consiglio di stato greco ha definito illegale. Ma la troika è rimasta a guardare.
Oligarchia è una parola greca, significa “governo dei pochi”. La Grecia era già in mano agli oligarchi, ma il sistema è stato consolidato nel maggio del 2016, quando il parlamento ha accettato, dopo il solito ricatto, la creazione del superfondo preteso da Schäuble, che mette all’asta quasi tutte le proprietà statali. Nel catalogo digitale ci sono porti turistici, aeroporti, spiagge, isole, aziende dell’acqua e del gas, castelli e ville, uffici postali, centri scommesse, viadotti, ferrovie, sorgenti termali, stadi, tutto in saldo. Sulla carta l’obiettivo del fondo di privatizzazione è garantire “un ricavo il più alto possibile per lo stato greco”. I memorandum affermano che “la vendita rapida a prezzi stracciati” non dovrebbe essere incoraggiata, ma è proprio quello che sta succedendo. Tsipras aveva ottenuto che un quarto del ricavato fosse destinato agli investimenti, ma in una versione successiva questa clausola è stata silenziosamente cancellata. Per la troika l’importante è ottenere un avanzo primario di bilancio (cioè prima del pagamento degli interessi), perché “i paesi creditori come la Germania vogliono rivedere i loro soldi”, scrive Joseph Stiglitz in L’Euro (Einaudi 2017). Solo con quel surplus Atene può man mano saldare i propri debiti, considerato che la troika pretende anche che le entrate superino le uscite del 3,5 per cento, una cifra insolitamente alta. Queste condizioni soffocano inevitabilmente l’economia, ma a Berlino, Parigi, L’Aja e Washington sono soddisfatti.
Nel frattempo il porto del Pireo è stato acquistato da un’azienda statale cinese e le ferrovie greche dalle Ferrovie dello stato italiane, in entrambi i casi per una cifra bassissima. Anche la Germania ha avuto la sua parte: l’azienda pubblica Fraport ha rilevato quattordici aeroporti regionali. Syriza si era opposta alla vendita, ma poi Berlino l’ha fatta inserire nel terzo memorandum. Fraport ci ha guadagnato miliardi di euro.
La maggior parte dei vantaggi va comunque agli oligarchi. Dimitris Melissanidis, per esempio, ha rilevato insieme a un consorzio greco-ceco l’Opap, l’azienda statale delle scommesse, per due terzi del valore di mercato. Non c’era alcun motivo di vendere, dato che l’Opap era in attivo. Poco dopo il responsabile della privatizzazione, Stelios Stavridis, è stato costretto a dimettersi perché era volato sull’isola di Cefalonia con l’aereo privato di Melissanidis. Per un anno e mezzo Syriza si è battuta contro la vendita del vecchio aeroporto Ellinikon di Atene a Spiros Latsis, il più grande imprenditore del paese, proprietario dell’Eurobank (la cui ricapitalizzazione era già costata allo stato greco 13,3 miliardi di euro). L’aeroporto sulla costa egea ospitava un campo profughi, sgomberato di recente. Latsis vuole trasformare l’area in una città privata di lusso, con un hotel a sette stelle. Anche in questo caso la troika ha minacciato di bloccare una tranche da 7,5 miliardi di euro se Ellinikon non fosse stato privatizzato in fretta e Tsipras ha firmato. Il prezzo pagato è stato 915 milioni di euro, circa un terzo del valore reale. La troika ha avuto un ruolo discutibile anche nella vendita di 28 edifici di stato (ministeri, commissariati di polizia, uffici delle imposte), alcuni dei quali alla Eurobank di Latsis. Il governo greco ha ricevuto 260 milioni di euro e ha preso in affitto gli stabili per vent’anni, arrivando a spendere più di quanto ricavato. Il danno stimato è di seicento milioni di euro. I dirigenti del fondo di privatizzazione godono dell’immunità: una decisione della troika con valore retroattivo, nascosta in un voluminoso dossier intitolato “Misure per la crescita dell’economia greca”. Gli inquirenti hanno quindi spostato l’attenzione su sei consulenti, fra cui tre membri del gruppo di lavoro dell’eurogruppo: uno spagnolo, uno slovacco e un italiano. Il processo è cominciato, ma secondo il quotidiano greco Kathimerini durante la riunione dell’eurogruppo del 24 maggio 2016 Dijsselbloem ha gridato al ministro greco: “Questo è inaccettabile!”. Una settimana dopo la Commissione europea ha minacciato di bloccare una tranche del prestito se lo spagnolo, l’italiano e lo slovacco non fossero stati prosciolti. Il giorno stesso è arrivata l’assoluzione. Leontopoulos ha scoperto che un mese dopo la troika ha aggiunto un paio di frasi a una legge sul crimine informatico, ancora una volta ben nascoste: da quel momento nessun esperto o consulente era più imputabile. “La troika non deve rendere conto a nessun parlamento”, dice Leontopoulos, “e a nessun tribunale”.
Tutto e subito
“Noi riduciamo la disuguaglianza”, scrive la troika. Nel 2017 l’istituto tedesco Imk ha reso noto che nei primi anni della crisi le imposte sui redditi greci più bassi erano aumentate del 337 per cento, contro il nove per cento di quelle sui più alti. Poi si è aggiunto l’11 per cento dell’iva, e ora anche le imprese individuali devono versare le tasse in anticipo. Le tasse arretrate ammontano a novanta miliardi di euro. Quasi un greco su due deve al fisco somme fino a cinquemila euro. “Quanto basta per distruggere le loro vite”, dice Nadia Valavani, che se n’è occupata in qualità di viceministra di Varoufakis. “Migliaia di persone sono finite in cella per questo motivo, ma noi avevamo introdotto una modifica”. Per rendere l’estinzione di questi debiti più sopportabile fu stabilito che si potevano pagare in cento rate: venti, trenta euro al mese erano cifre più ragionevoli. “La troika aveva un’avversione per le rate”, dice Valavani, “insisteva sulla ‘consapevolezza fiscale’. Se non paghi tutto subito perdi anche la casa e altre minacce del genere. Per loro il pragmatismo non esiste”. Valavani tirò avanti per la sua strada. Il suo programma ottenne un milione di adesioni, per un totale di 7,5 miliardi di euro. “Mi dicevano che avevano ricominciato a respirare. Ma con il terzo accordo la troika ha abolito la norma”. Le classi più ricche invece possono contare sull’indulgenza della troika per i loro “peccati fiscali”.
Il 1 gennaio 2017 è nata l’Autorità indipendente per le entrate pubbliche, nel cui comitato direttivo siede un rappresentante della Commissione europea. In caso di divergenze sulla legislazione fiscale è l’autorità a decidere, non il ministro. La vigilanza del governo è impedita. “Passo dopo passo viene cancellata ogni forma di potere decisionale greco”, dice Valavani, che definisce l’autorità per le entrate una “macchina di riciclaggio per una frode miliardaria”. Secondo l’ex viceministra la troika ha preso il posto di Nea dimokratia come protettrice dei ricchi. “Io e Varoufakis abbiamo nominato un nuovo capo dello sdoe, l’unità che indaga sui crimini finanziari, e ci siamo messi al lavoro con grande impegno, cosa che ha spaventato i grandi imprenditori. Quindi nel terzo memorandum lo sdoe è stato praticamente sciolto dalla troika”. I due terzi dei 730 ispettori sono passati all’autorità, che ora è l’unica che può punire le frodi. “Più di trentamila grandi casi di evasione decadono”, osserva Valavani, “l’autorità li ignora di proposito. L’evasione fiscale delle élite vale miliardi di euro! Avevamo tutti in pugno, ma secondo la troika le nostre indagini ‘non dovevano andare indietro di troppi anni, non aveva senso’. Una scusa bella e buona. E nessuno può chiedere niente all’autorità, perché è ‘indipendente’. C’erano seicento dossier già pronti allo sdoe, il fisco poteva riscuotere, ma la troika li ha dichiarati nulli”.
La resa dei conti
Quando si varca il portone dell’università Panteion sembra di ritrovarsi in un giardino tropicale. Le palme si allungano verso il cielo terso, ma la fontana è a secco da tempo. Il budget della Panteion è stato ridotto della metà, causando molte proteste. Ora gli studenti denunciano “rischi per la salute”. La direzione ha dovuto licenziare tutto il personale delle pulizie, e le conseguenze sono facili da immaginare: nel brutto edificio secondario, coperto di graffiti, il pavimento è nero e appiccicoso, le finestre offuscate, ci sono mozziconi di sigaretta dappertutto e piramidi di spazzatura. La rettrice ha chiesto agli studenti di pulire. Ma nessuno mette mano ai detersivi. “Noi dobbiamo tenere pulito, non pulire” dice Angelina Skaila, studente di sociologia. La rettrice assume personale delle pulizie freelance solo per pochi: “I corridoi di marmo dell’edificio principale, dove ci sono gli uffici dei professori, si puliscono una volta alla settimana”, dice Skaila. “Nelle nostre aule vengono al massimo una volta al mese, e dimenticano i bagni. Chi non vuole prendere qualche malattia, va a fare pipì nell’edificio principale”. Secondo le ricerche della Panteion gli addetti alle pulizie freelance sono più cari e inefficienti del personale fisso, ma la troika vuole liberarsi dei dipendenti a contratto. L’università di Atene ha già accettato il futuro: tonnellate di spazzatura sono eliminate regolarmente da studenti e docenti. Dopo le elezioni di gennaio del 2015 Tsipras e Varoufakis girarono l’Europa forti del mandato ricevuto dai greci per un nuovo inizio. Erano pieni di ottimismo: teoria e pratica davano ragione a Syriza. La politica dei tagli era stata un fiasco, e quell’argomento avrebbe persuaso l’eurogruppo. Ma Schäuble disse: “Le elezioni non cambiano niente. Le regole sono regole”.
A Bruxelles Varoufakis cominciò a elencare gli errori commessi, ma in risposta otteneva solo silenzio, racconta. Dopo ogni seduta i ministri dichiaravano che Atene non era “seria” e non “rendeva” abbastanza, che Varoufakis era un “perditempo, un giocatore d’azzardo e un dilettante”. “All’eurogruppo la Commissione europea parla sempre per prima, poi la Bce e l’Fmi, e a quel punto la strada è già tracciata”, racconta Varoufakis. “A parte quello tedesco, i ministri sono quasi decorativi”. In privato i ministri di Francia e Italia erano spesso “molto comprensivi”, ma “al tavolo stavano sempre con la troika”. Durante il loro primo colloquio telefonico, alla fine di gennaio, Dijsselbloem era stato molto conciliante con Varoufakis. “Cosa vuole fare con il memorandum?”, aveva chiesto il presidente dell’eurogruppo. “Vogliamo modificarlo”, aveva risposto il ministro. “troviamo un compromesso”. Dijsselbloem propose un incontro. Ma il giorno dopo, quando arrivò ad Atene, aveva già cambiato idea: se Varoufakis voleva trattare, la troika avrebbe chiuso le banche greche il 28 febbraio. “Dijsselbloem voleva ottenere una vittoria rapida”, ricorda Varoufakis, “ma io non cedetti”. Alla conferenza stampa dopo l’incontro, Varoufakis mise in guardia la troika. “Dijsselbloem se la legò al dito e si portò il rancore a ogni incontro successivo”. A cominciare da quello dell’11 febbraio, all’eurogruppo di Bruxelles. “Per tre volte”, ricorda Varoufakis, “Dijsselbloem mi disse che il tempo era scaduto, se non firmavo subito per una proroga: ‘Il treno parte stasera’. L’accordo scadeva due settimane e mezzo dopo, c’era tempo per trattare, ma Dijsselbloem disse che il parlamento finlandese andava in ferie e serviva la sua approvazione”. Varoufakis chiamò Tsipras, che gli disse: “Non firmare”. Il giorno dopo Varoufakis incontrò Dijsselbloem nel corridoio dell’hotel e non ricevette nessun ultimatum. “Il treno è tornato?”, chiese il greco beffardo. “Il 25 giugno a Bruxelles”, continua Varoufakis, “cinque giorni prima che le nostre banche chiudessero, la troika mi presentò un accordo. Tagli ancora più pesanti e una revisione del debito pubblico. Era un accordo talmente sbagliato che fu respinto anche dall’Fmi. Quando spiegai perché non potevo accettarlo, Dijsselbloem m’interruppe: ‘Deve dire adesso se accetta’. Se avessi detto di no, secondo lui sarebbe stata una dichiarazione di guerra”. Tsipras decise di indire un referendum sull’accordo. L’eurogruppo si riunì d’urgenza. Il 30 giugno scadeva il vecchio accordo, ma il referendum si sarebbe tenuto solo il 5 luglio, quindi Varoufakis chiese una breve proroga. “Così le banche sarebbero rimaste aperte e si sarebbe potuto votare senza timore. Ma l’eurogruppo sperava che la paura favorisse il sì, così rifiutò”.
I giochi erano aperti. Il 30 giugno la Grecia rimase in debito nei confronti dell’Fmi, entrando nell’elenco dei paesi morosi come il Sudan e la Somalia. La troika inviò un’email a Varoufakis per ricordargli che avrebbero potuto esigere immediatamente tutti i miliardi dovuti. Lui rispose citando un re spartano: “Venite a prenderli”. Nei giorni del referendum, il disastro imminente era quasi palpabile. Banche chiuse, famiglie e amici divisi su “sì” e “no”. La troika presentava il voto come una scelta tra restare nell’euro o uscirne. Ma quasi due terzi dei votanti si espressero contro l’austerità. Quando Varoufakis arrivò a casa di Tsipras il primo ministro non era felice ma impaurito: sapeva che la troika non avrebbe accettato il risultato. Varoufakis voleva insistere, ma Tsipras era stanco di combattere. La mattina dopo Varoufakis presentò le dimissioni. Tsipras cedette una settimana più tardi, dopo una riunione a Bruxelles durata diciassette ore. A ogni ora che passava, Schäuble alzava la posta. Tsipras fu “crocifisso”, disse una fonte interna, in un “teatro di crudeltà”, secondo qualcun altro. Varoufakis vide comparire davanti alle telecamere il premier spagnolo Mariano Rajoy che sventolava il “documento di resa” dicendo: “Questo è ciò che succederà se voterete il Syriza della Spagna”, cioè Podemos.
Quel giorno su internet molti gridarono al colpo di stato e l’economista Paul Krugman scrisse sul New York times: “La lista di richieste è folle. Si tratta di puro rancore e annientamento della sovranità. È un tradimento grottesco di tutto ciò che il progetto europeo rappresentava”.
A volte da lontano si vede più chiaro. Varoufakis non ha ancora sbollito la rabbia. “Non c’è niente di più ideologico che fingere che questo programma sia solo una questione tecnica”, dice. “Quando ho detto che dopo la crisi economica sarebbe arrivata una crisi umanitaria, Dijsselbloem mi accusò di usare un linguaggio ‘troppo politico’. Ma cosa c’è di più politico che rifiutarsi di definire la fame, la povertà e un’ondata di suicidi una crisi umanitaria?”.
Latte versato
A mezzanotte il caffè in viale Alexandras è ancora illuminato a giorno, per l’ultima volta. Thodoris spazza il pavimento e sposta i fili elettrici. Per il resto il locale è vuoto, è stato portato via tutto, la bancarotta è diventata esecutiva. Thodoris, cinquant’anni, sembra rassegnato. È indietro di otto mesi con l’affitto, ed era solo questione di tempo. Otto mesi significano ottomila euro, più seimila di bolletta dell’elettricità. “Ma io faccio cento euro di fatturato al giorno, con cui devo pagare una cameriera e fare la spesa. Per me rimangono cinque euro, dopo undici ore di lavoro. Da tempo molta gente non può più permettersi neanche un caffè al bar”. Thodoris è laureato in antropologia culturale e parla quattro lingue, ma chi lo vuole? Al massimo c’è richiesta di fattorini per le consegne di souvlaki, non di ricercatori. L’economia è in modalità di sopravvivenza, nessuno investe. “se fossi giovane mi unirei al grande esodo greco”. In tre dei locali vicini spicca l’ormai familiare cartello enikiazete, affittasi. “Miglioriamo il clima per gli affari”, scrisse la Commissione. Ma in ogni strada si vedono negozi abbandonati in rovina: da quando è arrivata la troika si sono abbassate più di duecentomila serrande. Nelle piccole botteghe ancora aperte ci sono sempre i saldi, ma non significa che ci siano clienti. solo i compro oro che acquistano a prezzi irrisori i gioielli di famiglia fanno buoni affari. La troika venne, vide e cambiò tutto. Voleva trasformare l’economia, stimolare la concorrenza, e in un certo senso c’è riuscita. I contratti collettivi sono stati ridotti da centoquaranta a otto. È il capo che decide: se pensa che il salario minimo sia ancora troppo alto offre quindici euro al giorno, senza assicurazione né straordinari. Paga mesi dopo, a volte in buoni. Per un posto disponibile telefonano centinaia di persone. “ti piace lavorare sodo? Dimostralo!”, si sentono chiedere.
Nell’autunno del 2010, quando fu nominata ministra del lavoro, Louka Katseli ereditò un sistema di contratti collettivi smantellato dal suo predecessore. “Ci vollero mesi per convincere la troika a recuperare parzialmente i contratti collettivi”, racconta. “Ma a quei tempi era ancora possibile discutere”. Nel 2011 la troika s’irrigidì. Adottò le richieste delle grandi catene alberghiere, dei mezzi d’informazione, delle banche e dell’industria, e impose una legge sul lavoro estremamente flessibile. “secondo la troika la mia revisione della legge ostacolava la concorrenza”, racconta Katseli. “Dovevo ritirare la mia proposta, ma mi rifiutai”. Un mese dopo ci fu un improvviso rimpasto di governo e Katseli fu esclusa, retrocessa a semplice parlamentare. Quando votò contro la legge della troika fu espulsa dal Pasok. “Da quel momento”, dice, “la posizione della troika è diventata più chiara: attenzione per le grandi aziende, disinteresse per sindacati e ministri”.
Nel 2014 ci fu una strana disputa sul latte che fece quasi cadere il governo. La troika ordinò di estendere la definizione di latte fresco da cinque a undici giorni, rendendo possibile l’importazione e facendo scendere il prezzo. Secondo Stiglitz fu un regalo all’industria casearia olandese, come ringraziamento per il fedele sostegno offerto dall’Aja alla Germania. Infatti dopo quella decisione l’esportazione di latte olandese in Grecia è aumentata e i contadini greci sono falliti. La legge sul latte fu un’altra condizione imposta per il versamento del prestito. Il viceministro dell’agricoltura greco votò contro e si dimise. “La mia etica m’impedisce di mettere a repentaglio l’indipendenza del mio paese”, dichiarò.
Oggi i rappresentanti della troika non possono più entrare così facilmente nei ministeri né spulciare i libri a loro piacimento. È all’hotel Hilton che incontrano i greci, come Nasos Iliopoulos, funzionario del ministero del lavoro. “Un diktat è un diktat, c’è poco da fare”, dice. Si riunisce spesso con la troika e di recente l’Fmi gli ha detto: “La vostra esperienza non è rilevante”. Lui cerca di salvare il salvabile. Sulla sua scrivania, con vista sui senzatetto di piazza Klafthmonos, è appeso un quadro che raffigura un lavoratore con un piccone a grandezza naturale. Iliopoulos, un uomo scuro sulla trentina, gli lancia uno sguardo. Ma qui la troika non viene, e lui non può spiegare la condizione dei braccianti: “Parlo in cifre, come vuole la troika, in maniera breve e concreta. Ogni esempio tratto dalle vite di cui si decide è considerato irrilevante”. In tutti questi anni il messaggio della troika è sempre stato lo stesso, dice Iliopoulos: segui le riforme e l’economia migliorerà. “È come parlare con dei cardinali: esiste un’unica, sacra visione delle cose. La liberalizzazione è positiva: se la realtà è diversa, la colpa è della realtà. Finché il datore di lavoro trionfa sul lavoratore, questo è il suo modello, per tutta l’Europa”. Poi Iliopoulos si fa pensieroso. rilette, prova a individuare almeno un punto positivo, ma non lo trova. “Questo disastro è stato compiuto perché la Grecia doveva diventare più competitiva, ma non è stato ottenuto neanche quello. solo il bilancio commerciale è ‘migliorato’, perché le importazioni diminuiscono a causa della crisi. Che bel risultato! si potrebbero anche uccidere i disoccupati per abbassare la disoccupazione, ma per fortuna non l’ha ancora proposto nessuno”.

L’AUTORE Edward Geelhoed è corrispondente da Atene di De Groene Amsterdammer e De Correspondent. Questo articolo è stato realizzato grazie al contributo del Fonds Bijzondere Journalistieke Projecten e del Nederlands Instituut Athene.