mercoledì 31 gennaio 2018

Repubblica 31.1.18
Verso le elezioni
Dove vince chi perde
di Michele Ainis


Più che un’elezione, è un rebus. Perché voteremo con una legge elettorale incomprensibile, che disegna scenari imprevedibili. Grande coalizione? Governo del presidente? Legislatura breve come un sospiro? Vattelappesca. Eppure non è vero, non è del tutto vero, che avanziamo su sentieri inesplorati. Non è vero che ci manchino le regole, i criteri. La regola c’è, però non sappiamo ancora riconoscerla. Proviamo a decifrarla.
Premessa: la terza Repubblica è sbocciata già da un lustro, dal 2013. Non ce ne siamo accorti perché la Costituzione è rimasta tale e quale, perché nessun sovrano si è mai alternato con i vecchi presidenti. Ma l’Italia non è mica la Spagna, dove Felipe VI regna dopo due Repubbliche. Non è neanche la Francia, dove si contano le Repubbliche ( cinque) contando le Costituzioni. No, alle nostre latitudini la successione interviene per ragioni extragiuridiche, viene scandita da elementi sostanziali, anziché formali. Dipende dalla Costituzione “ materiale”, non da quella scritta. Sicché cambia la Repubblica quando cambia la politica, il suo modo di proporsi.
Così, nel primo tempo delle nostre istituzioni quest’ultima configurava un sistema multipolare ( a multipartitismo estremo, per usare la formula di Leopoldo Elia). Poi, nel 1993, Berlusconi mise in campo Forza Italia e il sistema diventò bipolare. Fino al 2013, quando il M5S fu il partito più votato, consegnando agli italiani un assetto tripolare. Con quali conseguenze? Che nella prima Repubblica c’era un vincitore certo: la Dc, per 45 anni di fila sui banchi del governo. Nella seconda Repubblica, invece, la vittoria è sempre stata incerta, con un testa a testa fra Berlusconi e Prodi. E nella terza? È certa la non vittoria, nel senso che nessun partito, nessun polo, nessuna coalizione trova i numeri per dominare il Parlamento. Accadde nel 2013, accadrà di nuovo nel 2018, stando a ogni previsione. Dalla primazia della non vittoria discende la primazia del non vincitore. Eccola infatti la regola non scritta della terza Repubblica, osservata durante tutto l’arco della legislatura scorsa. Nessuno dei leader che si erano presentati agli elettori — Bersani, Berlusconi, Grillo, Monti — ha poi ottenuto le chiavi del governo. A palazzo Chigi fecero ingresso anzitutto Enrico Letta, che nel 2007 aveva perso le primarie del Pd vinte da Veltroni. Poi Matteo Renzi, anch’egli un perdente di successo alle primarie del 2012 (vinse Bersani). Infine Paolo Gentiloni, battuto a sua volta da Marino (sempre nel 2012) alle primarie del centrosinistra come sindaco di Roma. Se il futuro dipende dal passato, succederà di nuovo. Quindi è inutile sgranare le pupille misurando il profilo dei capipartito, per individuare il nuovo presidente del Consiglio. Meglio allungare lo sguardo su chi nelle fotografie ufficiali sorride in terza fila, su chi ha già rinunziato a candidarsi in Parlamento per tenersi di riserva, su chi recita da attore non protagonista, in attesa di diventare il primattore.
Da qui la grammatica costituzionale della terza Repubblica, che dopotutto si riassume in un paio di regolette. Primo: perdono peso le elezioni, la cattura dei consensi presso il popolo votante, e acquista peso, viceversa, il consenso del popolo votato. È fra gli eletti, non fra gli elettori, che si decide la partita. Dunque torna centrale il Parlamento, come d’altronde mostra l’esperienza che si è appena conclusa: senza la diaspora di Alfano o di Verdini, senza i 566 cambi di casacca della XVII legislatura, quest’ultima sarebbe morta in culla. Secondo: cresce il ruolo del capo dello Stato, cui spetta l’identikit del non vincente da proclamare vincitore. Dovrà trattarsi d’un personaggio non troppo colorito, non troppo esposto nella girandola d’insulti di questa campagna elettorale. Difficile accettare chi ti ha preso a schiaffi fino al giorno prima. E impossibile appoggiare il governo di chi non sia situato a metà strada fra tutti i contendenti. Insomma, nella terza Repubblica vince chi perde, oppure vince chi non gioca. Basta saperlo.