Corriere 31.1.18
Formazione. La scuola non insegna a scrivere
Nella
Primaria manca una programmazione didattica adeguata, e intanto
aumentano considerevolmente i bambini giudicati «disgrafici»
Il corsivo cede a stampatello e digitale, con gravi ricadute sui processi di apprendimento
di Claudio Ambrosini
Francesco
Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, di recente
ha pubblicato sul «Corriere della Sera» un articolo dal titolo La scuola
maltratta l’italiano . L’articolo muove dalla considerazione che gli
studenti nelle fasi avanzate del loro percorso formativo evidenziano una
«...difficoltà a comprendere con buone capacità il linguaggio complesso
della lingua italiana nella sua forma più strutturata, prima che nelle
sue specificità settoriali... assente una cognizione scientifica del
ruolo che ha la lingua prima nello sviluppo generale cognitivo del
bambino».
La lingua prima, dichiara Sabatini, è alimento per il
cervello la cui funzione è quella di «conoscere nella maniera più
ravvicinata e stabile il mondo: le cose e i fenomeni, e sviluppare su di
essi i ragionamenti, da quelli elementari a quelli più complessi, che
si sono formati in tutti i campi del sapere, specialmente attraverso la
scrittura… la quale… nella scuola primaria “modernizzata” viene
insegnata in maniera sempre più approssimativa, per la mancata
considerazione del complicato processo cerebrale che consente il suo
apprendimento, attraverso l’attivazione, a fini linguistici, di un nuovo
canale sensoriale, la vista, in aggiunta all’udito, con l’apporto
fondamentale delle operazioni della mano».
Pochi giorni dopo,
sempre sul «Corriere», Giovanni Belardelli in Smartphone in classe.
Deriva da contrastare discute sull’insediamento di una commissione da
parte del ministro Valeria Fedeli sull’uso degli smartphone in classe.
Teme, Belardelli, che «il titolare della Pubblica istruzione — ma anche…
il nostro intero ceto politico — abbiano smarrito l’idea di quali
dovrebbero essere i compiti e la funzione della scuola. Il punto non
sta, evidentemente, nel fatto che la Rete rappresenta una fonte di
informazioni ormai irrinunciabili, ma nella mancata consapevolezza che
il processo di apprendimento è una cosa diversa, che non può essere
sostituita dal ricorso a Internet». Un’ulteriore conseguenza negativa,
prosegue Belardelli, non dello smartphone in sé, «ma della mitizzazione
della sua funzione didattica» ricade sulla scrittura corsiva, in via di
estinzione nonostante «pedagogisti e neuroscienziati osservano che la
scrittura a mano, a differenza della scrittura su tastiera, coinvolge e
mette in relazione più parti del cervello, stimola la memoria, aiuta a
sviluppare le capacità percettive e di organizzazione del pensiero».
Eccoci
dunque alla scrittura corsiva per la quale, data la mia professione
ultradecennale di terapista della neuro- e psicomotricità, ho un
interesse personale e professionale essendo quotidianamente a contatto
con bambini «disgrafici» i quali, così come coloro appesantiti dal
Disturbo specifico di apprendimento, sono aumentati progressivamente e
considerevolmente con il nuovo millennio.
Sia Sabatini che
Belardelli sollevano, a pochi giorni di distanza, la stessa questione,
scrittura corsiva e sua funzione attorno alla quale pongo alcune
riflessioni.
Sgombriamo immediatamente il campo dagli equivoci: la
scrittura corsiva intesa unicamente nella sua funzione
esecutivo-motoria non è uno strumento del pensiero, è essa stessa, nella
sua fase di apprendimento, pensiero. Non scomodo qui i lavori
neuroscientifici sul rapporto azione-cervello, piuttosto invito a
riflettere sulle modalità e il tempo necessario a costruire il grafema
in rapporto sia ai processi organizzativo-motori, sia alla loro
contemporaneità nei processi di significazione della singola lettera e
della successiva fusione sillabica quando il bambino costruisce i primi
legami grafo-motori tra consonante e vocale pa , ta , ma , ecc. Il dito
sulla tastiera annulla questo processo e può essere che ne favorisca di
altri, ma allo stato attuale ciò non è ancora avvenuto o non si è ancora
stati in grado di verificarlo.
La realtà scolastica ci pone a
confronto con una grande quantità di bambini certificati come Dsa
(Disturbo specifico di apprendimento) e Bes (Bisogni educativi
speciali). Le ragioni sono diverse e non tutte riconducibili alla
scuola, ma è indubbio che sono completamente assenti linee guida del
ministero dell’Istruzione sugli strumenti necessari e indispensabili
affinché gli scolari della scuola primaria apprendano in funzione della
costruzioni delle basi, linguaggio e movimento, su cui si costruirà il
sapere futuro.
Non essendo un logopedista non entro in merito al
linguaggio, ma esprimo la più evidente mancanza di programmazione
nell’insegnamento della scrittura: nella stragrande maggioranza delle
situazioni si insegnano contemporaneamente a inizio del percorso
scolastico primario i caratteri stampato, maiuscolo, minuscolo, corsivo e
talvolta si introduce anche il corsivo maiuscolo. Si prosegue poi, in
molti casi, nel lasciare «libero» il bambino di usare quello che vuole. È
evidente a tutti la confusione in cui può trovarsi il bambino: quello
abile, forse, ne uscirà indenne, quello più piccolo (vi sono bambini che
accedono alla scuola a 6 anni non ancora compiuti) o quello con
debolezze nell’ambito motorio ne verrà sicuramente penalizzato.
A
fine del primo ciclo, cioè a fine secondaria di primo grado, ecco che
vengono dichiarati disgrafici e lo sono indubbiamente, ma alcuni o molti
di loro, potrebbero esserlo proprio per una assenza di una didattica
corretta. Si ritiene, allora, che il passaggio automatico allo stampato
maiuscolo o alla tastiera risolva la questione dimenticando che il
tratto dello stampato maiuscolo e ancor più quello del minuscolo,
completamente inutile anche per l’apprendimento della lettura,
complicano la dimensione motoria e spaziale dello scrivere in quanto il
tratto deve essere continuamente interrotto. I bambini disgrafici nel
corsivo, spesso e non tutti, lo sono anche con gli altri caratteri, nel
senso che la scrittura risulta illeggibile (i test usati in Italia
valutano la scrittura corsiva e non quella in stampatello). Inoltre
l’atto grafico si estende dal quaderno di italiano a quello a quadretti
di matematica dove il problema, mancando i riferimenti spaziali del
rigo, si complica ulteriormente.
Altri sarebbero gli argomenti da
affrontare, quello visuo-spaziale e quello dell’uso dello strumento che
porterebbe ancor più al centro del problema la questione motoria dello
scrivere, ma mi avvio a concludere dichiarando che la scrittura corsiva,
perfettamente funzionale ai movimenti fluidi e curvilinei umani, non
così gli altri caratteri segmentati e i prevalenza rettilinei, è invece
con grande probabilità destinata a soccombere, a sparire sotto il
dominio della tecnica. Se così è, sarebbe opportuno che il passaggio,
già in atto, venisse calibrato in modo tale che a soccombere fosse solo
la scrittura corsiva e non il bambino, anche questo, purtroppo, già in
atto, ma credo sarebbe più utile per il nostro Paese che organismi
ministeriali, insegnanti, terapisti, medici, psicologi e neuroscienziati
riflettessero con attenzione sul rapporto scrittura
corsiva/apprendimento/sviluppo del bambino senza assoggettarsi
passivamente al dominio della tecnica che, come afferma Umberto
Galimberti negli stessi giorni su «D» de «la Repubblica», ha prodotto
nell’individuo un secondo inconscio «che potremmo chiamare tecnologico,
con riferimento alla razionalità della tecnica che prevede il
conseguimento del massimo degli scopi con il minimo impiego di mezzi».
Facciamo, quindi, attenzione che anche lo sviluppo infantile non divenga funzionale alla tecnica.