Repubblica 25.1.18
Annuncio dalla Cina
Clonate due scimmie “Ora tocca all’uomo”
di Elena Dusi
ROMA
Ora l’uomo è più vicino. La clonazione – partita dalla rana e
transitata per topi, tori, cani, maiali e la famosa pecora Dolly,
esattamente vent’anni fa – ora è arrivata alla scimmia. Due cuccioli di
macachi in Cina sono nati da una provetta con un patrimonio genetico
identico. Zhong Zhong e Hua Hua sono due femmine, stanno bene: giocano e
sgranano gli occhioni, anche se i ricercatori dell’Accademia cinese
delle scienze hanno avuto le loro belle difficoltà a vederle nascere,
prima di poter pubblicare il risultato sulla rivista Cell. Oggi le
scimmiette hanno sei e otto settimane. I loro nomi messi insieme formano
la parola Zhonghua, che vuol dire “popolo cinese”. È la prima volta che
la clonazione dà vita a un primate: l’ordine di cui fa parte anche
l’uomo.
Unica eccezione: un altro macaco nato nel 1999, ma con un metodo molto diverso.
«L’efficienza
della tecnica è molto bassa, tra l’1 e il 5% di nascite rispetto ai
tentativi effettuati. Ma credo che clonare un uomo a questo punto
sarebbe tecnicamente possibile», spiega Paolo Vezzoni, genetista
dell’Istituto per le Tecnologie biomediche del Cnr e autore per Laterza
del libro “Si può clonare un essere umano?”. Era il 2003 quando Vezzoni
poneva la domanda.
All’epoca, fra ginecologi trasgressivi e
seguaci dei realiani, ognuno sembrava pronto a presentarsi alla stampa
tenendo in braccio il primo bambino clonato. Invece non accadde nulla.
Anzi, l’interesse per la clonazione svanì e la tecnica venne espunta
dalla lista delle priorità in biologia.
Cosa è successo? «Nel
frattempo sono state trovate strade alternative», risponde Vezzoni. «Uno
degli obiettivi della clonazione era procurarsi cellule staminali
identiche a quelle del paziente, per provare a curare eventuali
malattie. Nel corso degli anni sono emersi altri metodi per arrivare a
questo obiettivo, più semplici dal punto di vista tecnico e meno
controversi da quello etico». Se proprio vogliamo immaginare
un’applicazione pratica della tecnica usata per la clonazione, dobbiamo
cercarla in una serie di malattie genetiche rare che coinvolgono i
mitocondri, organelli che si trovano all’interno della cellula e
contengono una piccola frazione di Dna. «Se il Dna dei mitocondri è
difettoso – spiega il ricercatore del Cnr – la madre attraverso la
cellula uovo può trasmettere una malattia ai figli. Si può allora
pensare di usare la tecnica utilizzata dai colleghi cinesi per prelevare
il genoma della madre e inserirlo in una cellula uovo con mitocondri
sani». Ma vista l’altissima percentuale di fallimenti dell’équipe di
Shanghai, bisognerebbe creare tra venti e cento embrioni per ottenerne
uno sano. Difficile che il gioco valga la candela.
E allora? «I
primati sono ideali per studiare il funzionamento dell’organismo e
sviluppare cure per le malattie umane», scrivono i ricercatori di
Shanghai. Zhong Zhong, Hua Hua e le loro sorelle ancora in gestazione
potrebbero dunque diventare cavie da laboratorio per studiare malattie
incurabili. Avere a che fare con Dna tutti identici permetterebbe ai
ricercatori di togliere dal tavolo una variabile importante, quella
dell’eterogeneità dei geni. «Un’altra possibile applicazione – aggiunge
Vezzoni – è quella degli xenotrapianti. I maiali si stanno confermando
buoni candidati per fornire organi agli uomini.
Ma prima di
pensare sul serio a un trapianto, occorre apportare alcune modificazioni
genetiche. Ottenuti in vitro, questi cambiamenti potranno diventare
seriali grazie alla clonazione». Di fronte a tutto questo gli occhi di
Zhong Zhong e Hua Hua esprimono stupore.
E hanno le loro ragioni.
Per far nascere i due cuccioli i ricercatori cinesi le hanno provate
tutte. Prima prelevando cellule della pelle di un macaco adulto,
isolandone il nucleo, contenente il Dna, e inserendolo in una cellula
uovo (che del nucleo era stata privata in precedenza). La pratica è
stata ripetute 192 volte, riuscendo a creare 181 embrioni, trasferiti
nell’utero di 42 madri.
Le gravidanze sono state 22 e i cuccioli
nati due: entrambi morti dopo poche ore. Gli scienziati allora hanno
rifatto l’esperimento usando cellule di un feto di macaco. Cellule più
giovani – più vicine dunque alla condizione biologica delle cellule
embrionali – hanno dato risultati migliori. I 79 embrioni trasferiti in
utero hanno innescato 6 gravidanze e due fiocchi rosa. Zhong Zhong e Hua
Hua oggi stanno bene e bevono dal biberon, ma sono figli di un’odissea
scientifica ancora irta di difficoltà. «Siamo riusciti a clonare una
scimmia», dice oggi il capo équipe Qiang Sun. «Ma abbiamo registrato
molti fallimenti». Tra le reazioni, da segnalare quella del cardinale
Elio Sgreccia, ex portavoce del Vaticano sui temi della bioetica, che ha
commentato: “È una minaccia per il futuro dell’uomo”.