mercoledì 24 gennaio 2018

Repubblica 24.1.18
E Davos celebra il divorzio tra democrazia e libero mercato
di Tonia Mastrobuoni


Davos Democrazia e liberalismo: per decenni la retorica occidentale ne ha predicato l’indistricabilità e si è crogiolata nell’illusione che al di fuori dei sistemi politici liberi non potesse esistere un’economia libera e florida. E invece. Ieri il premier indiano Narendra Modi è arrivato a Davos con una nutrita delegazione che ha ravvivato i grigi muri di cravatte e tailleur del Forum con una marea di coloratissimi sari e una filosofia nuova. La più grande democrazia del mondo è sulla china di una deriva nazionalista che sta allarmando l’intera regione, ma a Davos è venuta a propugnare il libero mercato e una globalizzazione «che ha perso il suo lustro» e che va reinventata secondo logiche nuove, tenendo conto delle tradizioni locali. Anche se, ha aggiunto Modi, « l’isolazionismo non è una soluzione a questa preoccupante situazione». E quando il premier ultranazionalista ha cominciato la sua relazione in hindi, il fruscio in sala di centinaia di mani alla frenetica ricerca delle cuffie è sembrato il simbolo di un mondo che fatica a capire che il suo baricentro si sta sgretolando. Se Merkel parla in tedesco e Macron in francese, è normale aspettarsi che anche il premier indiano Modi si esprima nella sua lingua madre.
A Davos, le sue parole sono state accolte, condite com’erano di promesse sulla stesura di “tappeti rossi” per gli investitori, da applausi scroscianti. Il premier indiano ha voluto mandare un messaggio al paladino dell’isolazionismo che sta per irrompere sul palcoscenico di Davos: Donald Trump. Che, tanto per far capire che non ha alcuna intenzione di compiacere la platea, si è fatto precedere da una serie di schiaffoni protezionistici che sembrano sancire definitivamente il divorzio tra democrazia e liberalismo.
Una separazione percepita come dolorosa ormai soltanto in Europa. A Davos anche la performance da campione del liberalismo dell’anno scorso di Xi Jinping, alla guida di un regime che di democratico non ha nulla, è stata salutata da ovazioni. E forse non è un caso che nazionalismi e populismi in vertiginosa ascesa ovunque non spaventino i mercati, che trovano sempre il modo di ritagliarsi una nicchia di euforia. Attualmente riguarda la riforma fiscale di Trump. E le democrazie in ritirata non stanno intaccando minimamente uno dei più robusti e sincronici momenti di ripresa economica globale da almeno un decennio. Euforia economica e “recessione geopolitica”, per usare la ormai celebre definizione di Ian Bremmer, non sono incompatibili. L’America di Trump, secondo i dati presentati proprio qui a Davos dal Fmi, corre come non accadeva da tempo.
Che «il picco della globalizzazione » sia «alle spalle» lo sostiene anche un interessante rapporto presentato ieri da Credit Suisse che ha tentato di tirare le fila di questa “recessione geopolitica”. Per Michael O’ Sullivan « nei prossimi dieci anni, i trend politici saranno quelli verso l’eccezionalismo regionale » , come è sembrato sostenere ieri anche Modi. E O’ Sullivan gli ha dato un titolo: « La democrazia è il mio Sinatra», ispirandosi al celebre brano “ My way”. Il mondo sta diventando multipolare e «ognuno di disegna il proprio sistema » . Nel rapporto, l’ex premier britannico John Major avverte che «nell’Occidente democratico pensiamo che il nostro modello di democrazia liberale, sociale ed economico sia intoccabile. Non lo è » . E purtroppo anche i mercati sembrano essere diventati estremamente resilienti alle involuzione populiste e nazionaliste. Inoltre se oggi l’ 8,6% della popolazione mondiale possiede l’85% delle ricchezze e l’1% ne controlla addirittura oltre il 50%, le democrazie non hanno fatto quasi nulla per evitare queste derive nelle diseguaglianze. Distruggendo un altro enorme patrimonio di consenso. Davos, almeno quest’anno, ha mostrato di saper riflettere sul fatto, come sottolinea Afshin Molavi del John H