Repubblica 22.1.18
Rapporto Demos
Gli italiani e lo Stato
Italia, un paese senza più fiducia ma che scommette sull’impegno
Metà
dei cittadini pensa che non servano i partiti e due su tre si schierano
per l’uomo forte alla guida Recuperano a sorpresa i sindacati e cresce
la partecipazione sociale in particolare tra i più giovani
di Ilvo Diamanti
Il
Paese che si avvia alle prossime elezioni si presenta, come in passato,
scettico. Nei confronti delle istituzioni e della politica. Ma non
rassegnato. Gli italiani: appaiono diffidenti. Verso gli altri e, in
fondo, anche verso se stessi. Ma non rinunciano a credere nella
possibilità di cambiare. Nel futuro. Anche se mostrano delusione nei
confronti del passato. O, forse, proprio per questo. Perché sperano che
il domani sarà migliore. E cercano di muoversi in questa direzione. Mi
pare il segno tracciato dal Rapporto: Gli Italiani e lo Stato. Curato da
Demos (per Repubblica) ormai da vent’anni.
Se non si trattasse di
una formula politica utilizzata tradizionalmente con significato
diverso, parlerei di una “sfiducia costruttiva”. Che spinge gli italiani
a osservare gli interlocutori pubblici intorno a loro con prudenza e,
come ho già detto, con diverso grado di diffidenza. Molto alto per quel
che riguarda i partiti, ma anche il Parlamento. Il luogo dove i partiti,
meglio: i loro eletti, esercitano compiti e poteri di rappresentanza.
Tuttavia, è basso anche il grado di fiducia di cui dispone lo Stato:
meno del 20%. Pressoché come l’anno scorso. Ma 11 punti in meno di dieci
anni fa. Solo l’Unione Europea mostra una perdita di credito più
elevata: 18 punti in meno. E riscuote fiducia presso non più di 3
italiani su 10.
Appare, dunque, sempre più distante. Sempre più
indifferente ai problemi e alle domande dei cittadini. Ma in Italia non
sembrano esistere istituzioni “vicine” ai cittadini.
Gli stessi
Comuni sono, infatti, osservati con crescente distacco. Resistono solo
il Papa, meglio: Papa Francesco. E le Forze dell’ordine. Entrambi
segnali della ricerca di sicurezza. E di “fede”, principio (e radice
semantica) della “fiducia”.
Il XX Rapporto “Gli Italiani e lo
Stato”, curato da Demos, delinea così il profilo di “un Paese senza”.
Fiducia. Nelle istituzioni ma anche negli altri.
Un Paese di
persone “sole”. Un Paese senza politica. E lo sapevamo. E senza Stato.
Come si continua a dire. Sperando che non sia vero. Non per caso Sabino
Cassese, in un saggio di alcuni anni fa, ha definito “L’Italia: una
società senza Stato”.
D’altronde, anche l’orientamento verso i
servizi alimenta il disincanto pubblico. Tanto che quasi metà dei
cittadini (48%) considera, se non lecito, certamente giustificabile
“evadere le tasse”. Dal disamore pubblico e dal distacco verso le
istituzioni emergono segnali inquietanti per la democrazia. Almeno: per
la democrazia “rappresentativa”. Oggi, quasi metà dei cittadini pensa
che i partiti non servano. Che la democrazia possa farne a meno. Perché i
partiti e i politici sono corrotti. Quanto e anche più che ai tempi di
“Tangentopoli”. E se una larga maggioranza di italiani (62%) crede
ancora che la democrazia sia preferibile a ogni altra forma di governo,
si tratta comunque di una componente in calo costante. Rispetto a dieci
anni fa: 10 punti in meno. Così non sorprende, ma preoccupa anche di
più, che quasi 2 italiani su 3 ritengano che oggi il Paese dovrebbe
essere guidato da un “uomo forte”. Un sentimento comprensibile, vista la
sfiducia verso le istituzioni pubbliche e verso i soggetti politici.
Eppure, a maggior ragione, inquietante. Tanto più se ci voltiamo
indietro. A ripercorrere la nostra storia. A riflettere sul nostro
passato.
Tuttavia, questo “Paese senza” non ha perduto la speranza.
Non
solo perché torna a guardare con un certo ottimismo al futuro prossimo,
visto che quasi 4 italiani su 10 pensano che l’anno appena cominciato
sarà migliore di quello appena finito. E solo il 16% lo immagina
peggiore. Ma soprattutto perché questo “Paese senza” istituzioni, questa
“società senza Stato”: sembra in grado di reagire alla delusione. Alla
sfiducia. Non ha rinunciato all’idea che sia possibile cambiare. Non ha
rinunciato all’impegno. E manifesta, dunque, una partecipazione elevata,
rispetto agli ultimi anni. Condotta non solo per via digitale, ma
anche, ancor più, sociale e politica.
Non per caso anche gli
indici di fiducia nelle associazioni sindacali e di categoria riprendono
a crescere, dopo alcuni anni. Perché la partecipazione genera fiducia.
Nei
confronti delle istituzioni, ma anche “verso gli altri”. In entrambi i
casi, i livelli di “confidenza”, cioè: di “fiducia”, crescono
sensibilmente fra coloro che mostrano indici di partecipazione più
elevati.
Perché l’impegno, la stessa protesta, sono esperienze che facciamo “insieme agli altri”.
Con
gli altri. Soprattutto quando si svolgono nella società, nelle città,
nei luoghi pubblici. Senza limitarsi a frequentare la rete. Dove siamo
sempre in contatto con gli altri.
Ma da soli. Noi davanti al nostro tablet, al nostro pc, al nostro smartphone.
Così
mi rassicura il fatto che, in questo XX Rapporto “Gli Italiani e lo
Stato”, gli indici di partecipazione sociale tendano ad aumentare
sensibilmente fra i più giovani. Nonostante esprimano scarsa
soddisfazione verso il sistema pubblico e verso lo Stato. Non per caso
Umberto Galimberti (in un libro appena pubblicato da Feltrinelli) ha
parlato di “generazione del nichilismo attivo”. Perché è delusa, ma non
rassegnata. Significa che c’è motivo di credere. Che questa “società
senza Stato” non abbia perduto la speranza. Nel futuro. E in se stessa.