lunedì 22 gennaio 2018

Repubblica 22.1.18
Ecco i rimedi per curarsi dal malanno populista
di Eugenio Scalfari


Desidero cominciare questo articolo con due citazioni di illustri autori. Lo faccio spesso a titolo di premessa e penso sia di qualche utilità. La prima risale a Norberto Bobbio in un suo piccolo libro intitolato La filosofia e il bisogno di senso,
e dice così: «Mi sono posto una domanda e cioè dove vada la filosofia nei prossimi anni. Ma ho dato, dopo averci sopra ben riflettuto, due risposte indipendenti l’una dall’altra: penso che la filosofia stia andando verso una direzione, ma desidererei invece che andasse nella direzione opposta».
La seconda citazione è tratta da un libro di grande interesse, l’autore del quale è Thomas Mann con il titolo Moniti all’Europa. E con una introduzione molto acuta di Giorgio Napolitano. Da questa citazione traggo un giudizio molto interessante: «Se non si è portatori di visione storica e di strumenti di analisi culturale, di un serio e coerente patrimonio di valori e idealità su cui fondare programmi realistici di governo, la politica si fa asfittica, di corto termine e respiro ed esposta alle degenerazioni, anche in senso morale, del potere quotidiano.
La politica mette così a rischio, dice Mann, la sua componente ideale e spirituale, la parte etica e umanamente rispettabile della sua natura, di cui peraltro essa non potrà mai spogliarsi del tutto. In fondo è questo il discorso ben attribuibile al grande Tedesco ed Europeo che ancora oggi onoriamo e che si incentra sulla nobiltà della politica». Ma che in realtà non ha, aggiungo io.
La situazione economica, sociale e soprattutto politica non va bene in Italia, in Europa, in America e neppure in Sudamerica e in Medio Oriente. Non si era mai verificata questa generale confusione, resa ancora più intricata dal terrorismo, dalle periferie geopolitiche dove si accumulano miseria, ribellismo, corruzione, guerre locali. Questi malanni, almeno per quanto ci riguarda, si concentrano nel Mediterraneo. Esso in qualche modo è il centro del mondo per chi ci vive, ma a pensarci bene ci vivono tutte le grandi potenze: tutti i Paesi che vi si affacciano e le grandi potenze che guardano al mare che ci circonda e che lì hanno grandi interessi, dalla America alla Russia, dall’Africa all’Asia. Oggi è più che mai così: l’inquietudine politica che stiamo vivendo investe direttamente il Mediterraneo e si irradia nell’intera Europa e anche nell’intera America. L’Italia ha cessato da tempo di essere una grande potenza, ma è una penisola al centro di quel mare- lago con solo due porte dalle quali si entra e si esce: Suez e Gibilterra. E noi siamo una sorta di ponte come lo sono la Grecia, la Spagna e la Francia del Sud. Ebbene: l’inquietudine italiana e per altre ragioni quella spagnola sono al massimo di questa agitazione, incertezza, ingovernabilità. Noi addirittura peggio perfino della Spagna.
Siamo al centro di un tema capitale per una Nazione che è quello dell’ingovernabilità e anche del populismo. Va capito bene il significato di questa parola: vuol dire masse popolari che disprezzano e addirittura odiano le classi dirigenti. Si sta espandendo in tutta Europa il populismo, ma in Italia più che altrove. Gran parte del Mezzogiorno è populista, perché nei nostri paesi del Sud la miseria, le clientele, le mafie, sono caratteristiche di quelle regioni; ma c’è ampio populismo anche altrove. Questo se guardiamo l’aspetto geografico, ma di quello politico il populismo è un malanno assai diffuso: gran parte del populismo produce una altissima tendenza all’astensione dal voto; i Cinque Stelle sono un movimento nato populista al cento per cento: non ha un programma, non ha alleanze, non le vuole perché le disprezza e vuole tenere dentro tutto il populismo capace di raccogliersi in una struttura assai singolare che ha come scopo finale di fare piazza pulita di tutti gli altri partiti e movimenti e soltanto dopo potrà interessarsi a programmi che tengano conto della loro natura.
Ma il populista per eccellenza è Berlusconi che ne ha inventato però uno assai singolare: lui è membro della classe dirigente, membro dell’establishment, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Alleanze? D’ogni genere: quando per la prima volta fece un governo era alleato del neofascista Fini e della Lega guidata da Bossi. Quei due non si parlavano tra di loro, parlavano con lui che riusciva a mediare tra due interlocutori che si odiavano reciprocamente. Ricordiamo che anni dopo Bersani, allora segretario del Pd, fu tentato dall’ipotesi di potersi alleare con i Cinque Stelle. Fissò un appuntamento al quale intervennero due collaboratori di Grillo. Bersani parlò a lungo, espose il programma e tentò di captare l’interesse degli interlocutori. Accadde invece che questi ascoltarono senza dire una sola parola su quello che Bersani esponeva. Quando alla fine toccava loro di rispondere si alzarono dalle sedie e se ne andarono senza nemmeno salutare, come si ascolta una ranocchia e quando quella ha finito di gracidare si va a casa.
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Vediamo ora chi sono gli antipopulisti: soltanto i democratici del Pd. Quel partito nacque dall’Ulivo di Romano Prodi e dai due governi che egli fece. Quei governi furono l’incubatore del Partito democratico che nacque dieci anni fa avendo come fondatore e primo leader Walter Veltroni. Ci furono negli anni seguenti varie battaglie tra le quali un’elezione politica generale e fu una netta vittoria per il numero dei voti raccolti e per il governo che ne risultò. Il tutto è stato celebrato poche settimane fa e quindi è materia strettamente attuale.
Ora siamo di nuovo alle prese con le elezioni, ma nel frattempo c’è stata la scissione di un gruppo che si fregia del titolo “Liberi e Uguali”. Le scissioni dalla sinistra sono un dato storico che dura da oltre un secolo. Non si capisce bene il perché ma purtroppo la sinistra italiana è fatta in questo modo non occasionale ma storico.
Le indagini e le previsioni in corso attribuiscono al partito di cui Renzi è il leader una rappresentanza conquistabile nelle prossime elezioni del 4 marzo che oscilla tra il 25 e il 28 per cento. Se arrivassero al 30 sarebbe considerata una vera e propria vittoria. Ce la farà? L’accordo con la Bonino è una buona cosa e quello con Casini altrettanto. Anche De Mita vorrebbe aiutare il Pd a farsi luce. Ricordo ora con personale affetto che Ciriaco De Mita compirà 90 anni il 2 febbraio prossimo. Ha fatto a suo tempo una buona politica e fu il primo ad avere un rapporto di amicizia con Enrico Berlinguer. Fu a suo tempo segretario della Dc e poi presidente del Consiglio. A quell’epoca si sentiva molto più vicino a Berlinguer che al socialista Craxi. Direi che aveva perfettamente ragione.
I lettori mi scuseranno se talvolta indugio su ricordi personali, ma alla mia età si hanno antiche esperienze e memoria di esse. Io credo di essere in quel novero o almeno lo spero. Qualche giorno fa Carlo De Benedetti in una trasmissione televisiva ha detto che sono un vecchio rimbambito e altri insulti ai quali ho risposto con un’intervista di Francesco Merlo pubblicata l’altro ieri sul nostro giornale, quindi tralascio questo tema personale che ho qui ricordato per via di quell’accenno al mio rimbambimento. Tutto può essere ma a me ancora non è accaduto. Come ha scritto di recente il grande autore americano Philip Roth: «Noi vecchi andiamo la sera a dormire e ci svegliamo la mattina dopo con allegria. Durante il giorno abbiamo molte cose da fare, da pensare e da scrivere. Finché dura».
Chiudo con due brevi accenni. Uno sulla futura governabilità dell’Europa. Angela Merkel proprio ieri, domenica, è stata informata dell’assenso dei socialisti guidati da Schulz alla Grande coalizione. Governabilità europea risolta e duumvirato franco-tedesco. Ora ci sono un’infinità di questioni da risolvere tra le quali la scadenza di molte importanti cariche europee come quella di Mario Draghi le cui funzioni di presidente della Bce scadono alla fine del 2019. Ci sono ancora due anni di tempo ma la presidenza della Banca centrale e l’abilità con la quale Draghi l’ha condotta sono tali che fin d’ora vanno affrontate. Ed infatti Macron vuole rafforzare l’Europa con la creazione finalmente di un ministro delle Finanze unico per tutte le Nazioni europee. Molti pensano, e probabilmente lo pensa lo stesso Macron, che Draghi sarebbe perfetto per questa funzione ma non è questo il parere della Germania. Merkel ha sempre voluto una politica di rigore finanziario e quindi la Germania e soprattutto l’attuale presidente della Bundesbank non sono affatto d’accordo con la politica monetaria di Draghi che ha puntato sulla creazione di moneta per sostenere l’espansione produttiva, l’aumento dell’occupazione, un’inflazione di circa il 2 per cento e tassi molto bassi per i depositi delle banche nazionali presso la Banca centrale. Non è escluso ed anzi da certi segnali sembrerebbe che Macron sarebbe favorevole ad affidare quel ministero delle Finanze europeo all’attuale presidente della Bce. Questo susciterebbe un parere negativo di Angela Merkel ma comunque credo che Draghi non abbia alcuna voglia, se gli fosse offerto, di accettare quell’incarico. Ce ne sono molti altri adatti per lui, in Europa e in Italia. Esprimo, se mi è consentito, un mio parere: Draghi presidente della Commissione europea secondo me sarebbe l’ideale. Ma qui mi fermo.
Il secondo ed ultimo tema riguarda invece la governabilità in Italia, di cui si avrà il risultato alle prossime elezioni del 4 marzo.
Per fortuna questa governabilità così difficile da realizzare è di fatto raggiungibile dalle intuizioni del nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Qualora nessuna coalizione, o partito, dovesse prevalere alle elezioni, potrebbe affidare a Gentiloni l’incarico di proseguire al governo per l’ordinaria amministrazione. Un incarico che potrebbe essergli concesso per sei mesi o anche per un anno intero al termine del quale probabilmente si voterebbe di nuovo. In questo caso, se ci saranno nuove elezioni nel 2019, Renzi avrà il tempo per ricostruire e rafforzare il partito. Deve muoversi con molta energia e intelligenza valendosi di una squadra al massimo livello possibile. Governare l’Italia è ovviamente indispensabile e Gentiloni l’ha fatto molto bene e lo rifarebbe ove fosse necessario, sempre che Renzi non coltivi il desiderio di riprender lui la guida del governo. Sarebbe un errore. L’Italia certamente deve essere ben governata, ma la grande battaglia da affrontare contemporaneamente è quella che riguarda la nostra politica europea. Renzi ha affrontato più volte questa battaglia e l’ha condotta molto bene. Non credo però che se la senta di lasciare la guida del partito e diventare ministro degli Esteri di un governo Gentiloni; la considererebbe una inaccettabile diminuzione del suo rango e quindi non sembra possibile una soluzione del genere. Il tema però è questo: come si guida un governo italiano e la sua politica interna ed europea. Speriamo bene.