lunedì 22 gennaio 2018

Corriere 22.1.18
Pence in Israele e la diffidenza dei palestinesi
di Davide Frattini


La formula «Nuova Alleanza» in ebraico suona come «Nuovo Testamento». Lo fa notare il quotidiano Haaretz per spiegare dal punto di vista della sinistra israeliana la visita di Mike Pence. Il vicepresidente americano rappresenta il potere degli evangelici, quel fervore religioso — Ayman Odeh, leader politico degli arabi israeliani lo definisce «messianico e pericoloso» — che ha premuto su Donald Trump perché riconoscesse Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico. Il suo viaggio in Medio Oriente avrebbe dovuto incentrarsi sulla situazione della minoranza cristiana, la tappa a Betlemme era prevista e per Pence sarebbe stato un momento fondamentale sul piano personale e spirituale. Tutto cancellato dopo l’annuncio di Trump un mese e mezzo fa. Abu Mazen, il presidente palestinese, si rifiuta di incontrarlo, i leader religiosi arabi altrettanto. Il vicepresidente parla oggi alla Knesset, il parlamento israeliano, incontra il premier Benjamin Netanyahu e Reuven Rivlin, il capo dello Stato. Domani visita il Muro del Pianto ma almeno su questa tappa la nuova Casa Bianca non ha rotto il protocollo: la sosta davanti alle pietre più sacre per l’ebraismo è considerata privata senza la presenza di ministri o rappresentati ufficiali del governo israeliano. La scelta vuole confermare quello che Pence ha ripetuto in Egitto e in Giordania durante la prima parte del viaggio: gli Stati Uniti non vogliono modificare lo status quo nell’area del Muro del Pianto e della Spianata delle Moschee. Il vicepresidente ha anche rassicurato re Abdallah che gli ricordava la speranza dei palestinesi di dichiarare i quartieri arabi della città come capitale di una futura nazione: l’amministrazione crede ancora nella soluzione dei due Stati. Abu Mazen ribadisce di non considerare più gli americani degli arbitri imparziali. Direttori di questa gara, diplomatica e sanguinosa, altrettanto potenti non sembrano esistere, il leader palestinese dovrà forse accettare di tornare a parlare con Trump e i suoi emissari.