Repubblica 22.1.18
Proposte per futuri governanti
Se il libro scompare dalle elezioni
di Nicola Lagioia
Ma anche le case editrici devono fare la loro parte, facendo squadra come avviene nel settore cinema
Giuseppe Di Vittorio da adolescente era ancora un semianalfabeta.
Quando
capì che far valere i suoi diritti in quelle condizioni era
impossibile, si procurò un vocabolario. Sono passati anni, ma
nell’Italia del XXI secolo l’analfabetismo funzionale che Tullio De
Mauro ha combattuto per una vita affligge larghi strati della
popolazione, e l’ultimo rapporto Istat racconta un paese di pochi
lettori forti contrapposti a una marea di non-lettori in aumento. Nei
paesi più evoluti si legge di più. Ma al tempo stesso proprio i paesi in
cui si legge molto – e quelli in cui si investe in cultura e istruzione
– sono destinati a progredire più degli altri. Tra meno di due mesi si
va a votare. Poiché nessuno degli schieramenti ha indicato le proprie
idee (sempre che ce ne siano) per favorire quella che potremmo chiamare
“la battaglia per la lettura” (sempre che chi aspira a governare la
ritenga importante), proviamo a dare qualche suggerimento. Com’è ovvio
la questione del reddito è centrale: chi ha più soldi in tasca compra
più libri. A parte questo, per il libro sono almeno cinque i punti
chiave da cui iniziare: scuole, librerie, biblioteche, comparto
editoriale, promozione. Prima di addentrarci nel discorso, una premessa.
La filiera del libro in Italia è piena di professionisti di valore. In
particolare nelle case editrici (veniamo da una grande tradizione, siamo
il paese di Aldo Manuzio) ci sono eccellenze che è difficile trovare
anche nei paesi dove si legge più che da noi. Non ho invece mai visto
niente di più avvilente dei nostri uomini politici – la maggior parte di
essi – quando parlano con enfasi di editoria e promozione della lettura
convinti di sapere ciò che dicono. Il mio consiglio a chi ci
rappresenta è dunque: siate umili, per una volta fate prevalere
l’ascolto sull’ansia di protagonismo.
Cominciamo dalle scuole. Le
biblioteche scolastiche sarebbero i luoghi perfetti per la promozione
della lettura, se solo fossero sufficientemente attrezzate, se fossero
attive (in molte scuole ci sono biblioteche dove in un anno non entra un
libro), e soprattutto se ci fosse un bibliotecario, cioè una persona il
cui compito è promuovere la lettura tra gli studenti, con strategie che
variano a seconda del contesto in cui si trova. Attualmente nelle
scuole le biblioteche sono affidate al buon cuore dei docenti che se ne
occupano tra mille altre cose. La figura del bibliotecario scolastico –
presente in quasi tutti i paesi europei – in Italia esiste solo nella
provincia autonoma di Bolzano, non a caso una delle zone in cui si legge
di più. Anche prevedere più tempo per la lettura ad alta voce potrebbe
essere un’idea. È importante leggere un testo critico sui Fratelli
Karamazov, ma se questo impedisce agli studenti di iniziare a leggere il
capolavoro di Dostoevskij, c’è un problema.
Nei luoghi dove ci
sono più librerie e più biblioteche pubbliche si legge di più. In paesi
come la Francia o la Germania ci sono misure a sostegno delle librerie
meritevoli (la manovra approvata a dicembre introduce il credito
d’imposta, ma bisogna fare di più). Per ciò che riguarda le biblioteche:
esclusi i casi virtuosi (uno su tutti: la Sala Borsa di Bologna) oggi
occupano uno spazio marginale nelle pratiche culturali degli italiani –
prive di mezzi, sotto organico, specie al Sud, sono il settore dove il
margine di miglioramento è maggiore. L’editoria italiana è dinamica e
altrettanto audace. Non è infrequente che grandi autori stranieri
vengano scoperti da noi prima che altrove, e non è raro che gli autori
italiani abbiano un certo successo all’estero. A differenza di altri
settori (come il cinema o il teatro) l’editoria libraria si
autosostiene. Da una parte è un bene (la mancanza di assistenza
costringe a innovare di continuo), ma questo non significa che una buona
cornice normativa non possa rinvigorire un settore meritorio. Dai
contributi alle traduzioni, a quelli per la vendita all’estero dei
diritti d’autore di libri italiani, a un più vasto piano di agevolazioni
fiscali per chi acquista libri, trarre ispirazione da ciò che accade in
paesi più evoluti non fa male.
Qualche tempo fa, nel corso di
incontri pubblici la pubblicitaria Annamaria Testa metteva a confronto
le nostre campagne istituzionali di promozione alla lettura con quelle
di altri paesi. Il paragone era imbarazzante. In questo caso
bisognerebbe proprio cambiare paradigma. Ho fatto solo qualche esempio.
Un pacchetto completo di proposte legislative in tal senso fu presentato
nel 2013 dal Forum del Libro. Elogiato da tutti i gruppi parlamentari,
non è mai arrivato a discussione. Si potrebbe ricominciare da lì.
Nonostante l’editoria libraria sviluppi un volume d’affari assai più
grande di quello del cinema, il mondo del libro – a differenza della
settima arte – non è mai riuscito a far fronte comune davanti alla
politica.
Bravissimi di per sé, gli editori italiani lo sono meno
quando c’è da fare squadra. Ma esisterà un pacchetto condiviso di
proposte su cui mettere all’angolo i nostri rappresentanti. Qual è la
loro idea su un settore così strategico come quello del libro? È
arrivato il momento di scoprire le carte.