Repubblica 17.1.18
Jury Chechi:
“Biles e gli abusi, troppe coperture in quel centro Usa”
di Mattia Chiusano
Jury
Chechi, il signore degli anelli, il giorno dopo le denunce di Simone
Biles: «Una storia terribile. Per quel che è successo, per i segnali che
erano chiari da tempo, per le denunce tante, troppe - nei confronti di
questa persona. Strana e assurda storia, Larry Nassar aveva dei
precedenti, eppure gli avevano dato un incarico con le ragazze.
Forse c’è stata poca attenzione».
Chi
vuole diventare campione di ginnastica deve lasciare presto, quasi
bambino, la sua casa, per essere assorbito da centri d’eccellenza in cui
i genitori non mettono quasi mai piede. Il destino di Simone Biles, con
le conseguenze denunciate in questi giorni. Ma anche, tra migliaia di
ginnasti, da Chechi, oro agli anelli ad Atlanta nel ‘96, tredici anni
dopo aver scelto lo sradicamento dalla sua famiglia.
Chechi, resterà per sempre un’ombra sulla ginnastica dopo questa vicenda?
«Credo
che questo tornerà ad essere un caso isolato, nel quale bisogna andare
ben in fondo. Ma d’altronde, se il Papa parla di pedofilia del mondo
ecclesiastico... Le molestie esistono nel cinema, nella cultura, nella
musica, dappertutto. Non tutto è marcio nella ginnastica, ci sono
persone che vanno allontanate per sempre, ma il resto è pulito».
Ha mai sentito parlare di abusi?
«Solo voci, di Nadia (Comaneci, ndr) e il figlio di Ceausescu, di altre atleta ma senza prove».
Ne ha parlato con Nadia?
«Non
nello specifico di quella storia. Lei mi ha raccontato tutte le
difficoltà di quel periodo, prima che la Romania si liberasse».
Il distacco dalla famiglia sembra obbligatorio.
«Quando
fai queste scelte, il rischio è alto. Si soffre, ma una grande passione
e volontà ti può aiutare nei momenti più difficili. Io volevo lavorare
con Bruno Franceschetti, che allenava a Varese. Rifarei tutto».
Come la prese la sua famiglia?
«Mia
madre pianse per tutto il viaggio da Prato a Varese. Mio padre la imitò
al momento di separarci. Da quel giorno, mi 4 avrebbero visto un paio
di volte all’anno».
Com’era la sua vita da solo in una città sconosciuta?
«Camera
due metri per tre, brandina e minuscolo bagno. La vita cambiò quando
mio padre mi regalò una tv dopo un paio d’anni. La cosa più divertente
era il posto che mi ospitava».
Cioè?
«Un collegio
arcivescovile, gestito da sacerdoti. Tanti sacerdoti e tanti minori. Un
bel colpo per i miei genitori atei: hanno fatto buon viso a cattivo
gioco, come me».
Si parlava di molestie allora?
«Non era d’attualità come oggi, ma la federazione vigilava con attenzione».
La sua famiglia sarebbe stata preoccupata dopo le recenti ammissioni della Chiesa.
«Mi trovavo in un ambiente sano, nonostante situazioni ambigue e difficili».
In che senso?
«C’erano tante persone, tanti stranieri, e potevi trovare tranquillamente droghe leggere».
Nel collegio arcivescovile?
«Sì. Però di abusi non ho mai avuto sentore».
Negli Stati Uniti invece...
«Stiamo
parlando della nazionale più forte del mondo. È incredibile pensare
alla quantità di vittime e a quanto tempo Nassar ha avuto a
disposizione. Sono evidenti le coperture, non poteva fare da solo. Dopo
aver ascoltato questa storia, ci penserei due volte prima di mandare mia
figlia in un centro federale».