mercoledì 17 gennaio 2018

Repubblica 17.1.18
La coalizione a trazione salviniana
Migranti e neofascismo la deriva ultrà della destra
La mancata condanna del raid di Como, l’escalation sull’immigrazione e ieri a Genova il no al divieto di piazza per le formazioni estremiste
di Carmelo Lopapa


ROMA Finisce coi consiglieri del Pd in piedi a intonare “Bella ciao”. In aula i loro colleghi di maggioranza (Forza Italia e Lega) hanno appena impedito la discussione del provvedimento che avrebbe vietato di concedere spazi pubblici a movimenti e associazioni di estrema destra.
Quelli del M5S seduti e silenti. È successo ieri, in consiglio regionale a Genova, città medaglia d’oro alla Resistenza in cui pochi giorni fa era stato accoltellato un ragazzo da militanti di Casapound. «Non abbiamo bisogno di lezioni da questo Pd», ha tagliato corto il governatore berlusconiano Giovanni Toti. Ha le spalle ben coperte, del resto.
Tra rigurgiti giustificazionisti e slogan anti-immigrati, è ormai un’escalation da parte dei suoi leader di riferimento, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Si contendono a suon di slogan il voto della famosa “pancia” del Paese, in un precipitoso smottamento a destra. Addio al «partito dell’amore», ecco la coalizione del rancore, della rabbia, della paura.
Così, il leader di Forza Italia che pure due giorni fa faceva filtrare in privato il disappunto per la sortita dell’aspirante governatore leghista Attilio Fontana, in pubblico adesso gli garantisce la piena copertura politica per la «frase infelice», il vero «rischio è che l’Europa perda la sua identità, la sua civiltà», ha ammonito ieri in un’intervista a Qn. Fa il paio con la scontata difesa di Matteo Salvini al suo uomo («Il vero problema non è la razza ma l’invasione fuori controllo»). Non è che lo stesso Cavaliere parlando domenica su Canale5 sia stato da meno, alludendo al «mezzo milione di migranti in Italia per delinquere».
Un pallino, ormai, il suo. Già il 14 dicembre a Tgcom 24 parla dell’urgenza di un Piano Marshall per l’Africa per evitare che «sei miliardi di persone che vivono nella miseria ci invadano». I sondaggi gli dicono del resto che la paura dell’invasione - a dispetto del crollo degli sbarchi da 180 a 119 mila nel 2017 - potrebbe pesare per il 30 per cento sul voto del 4 marzo. E allora tanto vale spararla, dalla barzelletta alla kermesse di Ischia in ottobre («Con il bidet ho insegnato agli africani i preliminari») all’affondo più serio contro lo Ius soli, il 26 novembre davanti alle telecamere di Fabio Fazio: «Alcuni immigrati odiano i cristiani, gli ebrei, lo Stato italiano, non si può dare loro la cittadinanza solo perché hanno frequentato una scuola». Sortita che pochi minuti dopo negli stessi camerini gli procura il rimprovero di Fabio Volo: «Non è una cosa figa quella che ha detto, lei deve allargare le teste delle persone, non stringerle». Berlusconi, che non ama i richiami, sorride, si alza e se ne va. Avrebbe fatto lo stesso Matteo Salvini, che sulla chiusura agli immigrati sta costruendo mezza campagna elettorale. La cancellazione dei visti umanitari, per sua volontà, è già nel programma del centrodestra.
Quando ad agosto un prete di Pistoia, don Massimo Biancalani, ha osato portare un gruppo di immigrati suoi ospiti in piscina, il leader della Lega lo ha bollato come «anti italiano». Era l’estate calda in cui l’aspirante premier aveva portato invece la sua solidarietà al titolare della spiaggia fascista di Chioggia, Gianni Scarpa, al grido di «non processiamo le idee». Per Salvini «l’apologia del fascismo è da abolire» assieme alla leggi Fiano e Mancino, «robe da Urss», come ha urlato dal prato di Pontida il 17 settembre. Legge Fiano che, va detto, alla Camera poco prima, il 12 settembre, era passata con 261 sì e 122 no tra i quali quelli di Lega, Forza Italia e M5S. «Quattro ragazzi, il problema non sono loro ma l’immigrazione», è stata a novembre l’assoluzione del capo leghista per i naziskin dell’irruzione al centro pro-migranti di Como. Mentre Berlusconi e Fi si erano trincerati dietro un complice silenzio.
Passano pochi giorni e a dicembre, presentando il libro di Bruno Vespa, il leader forzista torna alla sua vecchia passione: «Mussolini, che forse un dittatore proprio non era». E che, come diceva già nel lontano settembre 2003, «non ha mai ammazzato nessuno e mandava la gente in vacanza al confino». È un ping-pong tra i due che andrà avanti così fino al 4 marzo. Con buona pace della distinzione moderati-populisti. Al tavolo delle candidature, ieri sera, Ghedini (Fi), Giorgetti (Lega) e La Russa (Fdi) hanno pure chiuso la spartizione dei collegi: 155 Fi, 129 Lega, 51 Fdi e 13 Noi con l’Italia. La quadra del cerchio per puntare al 40 per cento , vincere le elezioni e occuparsi di immigrati e ostinati antifascisti.