il manifesto 17.1.18
Caro candidato, che farai se eletto con un Rosatellum incostituzionale?
Verso
le elezioni. All’appello di votare solo quei candidati che si
impegneranno a non cambiare la Costituzione, va aggiunta la promessa di
dimettersi se la legge elettorale sarà bocciata
di Enzo Paolini
Il
«Patto per la Costituzione», cioè l’appello/impegno a votare solo quei
candidati che dichiarino formalmente e solennemente di astenersi da
manomissioni della Costituzione per lavorare alla sua attuazione
concreta, è un bel messaggio che sta trovando terreno fertile.
E
ciò nonostante il tentativo di perseguirne la revisione come un fatto
opportuno se non necessario (Calenda dixit) è voluto da molti, a
dispetto di una vuota retorica di immutabilità costituzionale (Galli
della Loggia sul Corsera).
Al contrario, Gaetano Azzariti (il
manifesto, 14 gennaio) ha ben spiegato come i teorici del «revisionismo –
quale – che – sia», non tengano in alcun conto le ripetute bocciature
parlamentari e referendarie. Un atto di arroganza intellettuale,
soprattutto se si riflette sul fatto che le procedure per la
manutenzione costituzionale esistono, previste nella medesima Carta, che
per questo motivo, si presenta moderna ed aperta ai cambiamenti. Purché
siano coerenti, logici, intelligenti ed in sintonia con il senso
comune.
Ecco quindi il perché della proposta di un Patto per la
Costituzione: perché il prossimo Parlamento – o almeno una parte di esso
– sia rispettoso del pensiero e dell’opera dei costituenti e della
volontà popolare sinora così chiaramente espressa.-
Tuttavia –
dobbiamo dircelo chiaramente per prefigurarci lo scenario dei prossimi
mesi – il «Patto» reca con sé un peccato originale, costituito dalla
composizione dell’assemblea sulla base di una legge che, con tutta
probabilità, potrebbe essere dichiarata incostituzionale (e sarebbe la
terza di seguito, record mondiale).-
Mettiamola così: tra i doveri
di un parlamentare che volesse dare attuazione ai principi ed al
dettato costituzionale, oltre all’impegno sul ripudio della guerra,
sulla effettività del lavoro, sull’uguaglianza, sulle concrete pari
opportunità, sulla tutela del patrimonio ambientale e culturale e così
via per un lungo – ed inattuato – rosario, c’è anche quello
pregiudiziale (perché finalizzato a realizzare il principio di
rappresentanza democratica, senza il quale viene meno la legittimazione
dei decisori e la legittimità delle decisioni) di assicurare – secondo
l’art. 48 – che il voto dei cittadini sia «personale ed uguale, libero e
segreto».
Ora, è molto probabile che il sistema congegnato dalla
L. 165/2017, cosiddetto «Rosatellum» risulti, ad approfondita analisi
della Consulta, non del tutto personale (le regole per consentire il
voto dei cittadini italiani residenti all’estero non sembrano
rassicuranti sul punto), e palesemente non eguale (vale evidentemente di
più il voto dell’elettore di una lista in coalizione beneficiata dal
premio di maggioranza e/o dalla attribuzione proporzionale dei voti
delle liste in coalizione che, ottenuto almeno l’1%, non dovessero però
raggiungere il 3%, rispetto al voto semplice di altro elettore).
Così
come non si presenta libero (per il semplice motivo che il voto nel
collegio uninominale si riflette automaticamente sul listino
proporzionale vigendo il divieto di voto disgiunto).
L’unico
requisito costituzionale formalmente mantenuto, potrebbe essere
considerata la segretezza ma è la foglia di fico che copre l’indecenza,
dal momento che anche in regimi totalitari il voto è segreto ma la
manipolazione delle regole d’ingaggio ne consente la sterilizzazione con
il controllo preventivo del consenso: in altre parole, se tu voti in un
senso ma poi io decido che il tuo voto serve per incrementare il voto
di un altro, ho istituito un regime.
Qui, oggi, in Italia si dice,
tanto per essere chiari: i cittadini eleggono un parlamento quasi
interamente scelto, prima del voto dai (soliti o nuovi non importa)
cinque/sei capipartito che impongono nomi e scelgono i collegi. E da
venti anni formano insieme leggi elettorali che comportano questi
meccanismi. E se la Corte Costituzionale le dichiara illegittime se ne
infischiano. Ne fanno altre ancora più incostituzionali, tanto –
nonostante la pronuncia della Corte – i parlamentari abusivi rimangono
in carica lo stesso.
Con buona pace della Consulta, del Presidente della Repubblica, dei sacri principi e della Resistenza.
Il
problema è enorme da tanti punti di vista, perché la scelta di comporre
l’aula parlamentare in questo modo non può che riflettersi sulla
qualità di una classe dirigente dipendente dall’investitura dei capi.
Dunque
per confidare che il «Patto per la Costituzione» possa avere un effetto
significativo e concretamente incisivo per la rigenerazione delle
nostre Istituzioni dovremmo aggiungere un’ulteriore richiesta ai
candidati che sul rispetto della Carta
Fondamentale volessero
impegnarsi ed è la seguente: qualora – come probabile – la Corte
Costituzionale dovesse dichiarare l’incostituzionalità anche della
attuale, e vigente, legge elettorale, così che anche il veniente
Parlamento fosse da considerarsi non legittimato politicamente, questi
nominati e componenti dell’assemblea in maniera non conforme alla
Costituzione si batteranno per l’adozione di una legge elettorale solo
proporzionale e per l’immediato scioglimento delle Camere?
Magari
non vi riusciranno perché potrebbero essere una sparuta minoranza, ma
almeno avranno gettato un seme di dignità istituzionale e dato un senso
al nostro voto.