Repubblica 16.1.18
L’ira di Abu Mazen cancella Oslo e gli Usa come mediatori
“Gli accordi sono morti li ha uccisi Israele”
Poi il leader dell’Anp va contro Washington per Gerusalemme
di Alberto Stabile
BEIRUT
Un Mahmud Abbas (o Abu Mazen, secondo il suo nome de guerre) così
furente non s’era mai visto. È come se il presidente dell’Autorità
Palestinese avesse scelto la riunione del comitato direttivo dell’Olp
per sfogare tutta la rabbia e la frustrazione accumulate in 13 anni al
vertice di quello che avrebbe dovuto essere il germoglio del futuro
Stato palestinese, e invece si rivela essere soltanto « un’Autorità
senza autorità e un’Occupazione senza conseguenze » . Oggi, ha
proclamato « è il giorno in cui gli accordi di Oslo sono morti, uccisi
da Israele».
In realtà nel mirino del leader palestinese non c’era
tanto Netanyahu ( che gli ha subito risposto ironicamente
riconoscendogli di aver reso un servizio a Israele rivelando una ben
nota «verità») quanto Donald Trump e il riconoscimento da parte del
presidente americano di Gerusalemme capitale dello Stato ebraico, senza
alcuna accenno alla rispettiva rivendicazione dei palestinesi verso
Gerusalemme Est come capitale del futuro Stato nazionale. Una mossa che
agli occhi di Abu Mazen toglie agli Stati Uniti qualsiasi credibilità di
mediatore. Davanti alla direzione convocata per discutere proprio della
scelta americana, Abu Mazen ha fatto il viso dell’arme, pronunciando
parole insolitamente durissime con tono spesso catastrofico e
ricorrendo, altra novità rispetto al suo lessico abituale, a citazioni
coraniche. Come quando ha detto che « il fedele non si fa mordere due
volte dallo stesso animale».
Dunque, basta con la favola degli
Stati Uniti nella parte dell’“ honest broker”. La mediazione non c’è
stata ( « quando mai Trump mi ha offerto di riprendere il negoziato? ») e
quello che era stato annunciato come il piano di pace che avrebbe
dovuto condurre all’accordo del secolo tra israeliani e palestinesi «s’è
rivelato lo schiaffo del secolo, ma noi questo schiaffo lo restituiremo
» . E non vale certo ad attenuare il dolore la proposta di stabilire la
capitale del futuro stato palestinese ad Abu Dis, una borgata nei
pressi di Gerusalemme sotto il controllo dell’Autorità Palestinese, che
Abu Mazen ha sdegnosamente respinto. Di conseguenza, i rapporti tra
Ramallah e Washington sono congelati. Abu Mazen resta fermo nel suo
rifiuto di incontrare il vicepresidente americano, Pence, in visita nei
prossimi giorni in Israele. Tuttavia, il presidente palestinese, ha
evitato di porre una pietra tombale sul negoziato, né ha dichiarato la
fine della collaborazione tra servizi palestinesi e israeliani, frutto
degli accordi di Oslo ( settembre 1993). Così come resta legato alla
soluzione dei due Stati, come la più idonea per porre fine al conflitto
in corso da 70 anni. Ma qui si rivela tutta la fragilità della sua
strategia. Abu Mzen ritiene che sia sufficiente cambiare il mediatore
per rilanciare il negoziato e non è un caso che Netanyahu si sia subito
affrettato a dire che «non c’è nessun altro mediatore, a parte gli Stati
Uniti».
Così è prevedibile che il vuoto negoziale, già evidente
nel secondo mandato di Obama, continuerà. Con la regione sempre più in
subbuglio e, come ha delineato l’analisi della situazione strategica per
il 2018 dell’Esercito israeliano, con «i rischi di guerra » fatalmente
destinati ad aumentare lungo due possibili scenari: come risposta ad una
iniziativa militare israeliana simile a quelle intraprese in questi
anni per bloccare l’armamento destinato ad Hezbollah, o la creazione di
basi militari iraniane in Siria; o come conseguenza del divampare del
“fronte palestinese”.