Repubblica 15.1.18
Torino e il voto dei lavoratori
Operai e precari orfani di sinistra “In bilico tra astensione e destre”
Ai
cancelli di Mirafiori rabbia per la crisi e la legge Fornero: “ Troppe
promesse vane, forse con il M5S cambierà qualcosa”. I pony express:
“Costretti a pedalare perché manca lavoro”
di Paolo Griseri
TORINO
La Torino operaia e precaria sembra più arrabbiata che convinta. Chi ha
il lavoro vorrebbe scappare e accusa la politica di averlo legato alle
catene di montaggio come un ostaggio in guerra. Chi non ha
un’occupazione pedala alla ricerca di un reddito in qualche modo certo.
La maggioranza non sta bene dove sta e promette nell’ordine: di non
andare a votare «tanto non serve»; di votare 5Stelle o Lega «per mandare
a casa quelli che ci sono adesso»; di essere incerta «perché uno come
me che votava a sinistra che cosa deve fare adesso che sono divisi?».
Un tempo si chiamavano “le Meccaniche di via Settembrini”.
Perché
prima del raddoppio degli anni Settanta quella che correva lungo il
muro di cinta della parte storica di Mirafiori era una semplice via di
campagna. Da allora lo stabilimento ha avuto il tempo di ingigantirsi:
via Settembrini è diventato corso Settembrini. Poi si è sgonfiato. Anche
adesso che ha ripreso a lavorare non raggiunge certo i ritmi di un
tempo. Oggi per esempio le Carrozzerie sono in cassa integrazione. Il
cancello 2, quello storico dove si è sempre andati a raccogliere lo
stato d’animo degli operai, è chiuso. Bisogna andare alla Meccaniche. Un
tempo producevano motori, oggi solo cambi. Gli operai delle Meccaniche
sono sempre stati considerati gli intellettuali della fabbrica: per fare
un motore, anche in linea, ci vuole più competenza di quella necessaria
a saldare la lamiera in Carrozzeria. Tutto è cambiato.
Le
Meccaniche si chiamano “Fca Powertrain” e la fabbrica, dopo il
matrimonio con Chrysler, si chiama “plant”. Ma la porta 20 non ha
cambiato numero.
È l’ora del cambio turno. Nel crocicchio davanti
al cancello si capisce subito che Giuseppina è la più ascoltata. Sarà
per l’età, l’esperienza conta. Si parla di lavoro: «Dove siete
impegnate?». «Al controllo qualità dei cambi.
Arrivano i pezzi e dobbiamo verificare che tutto sia in ordine». Un lavoro interessante?
«Un
lavoro». Signora Giuseppina, lei per chi voterà il 4 marzo? Non passano
cinque secondi. Il tempo di sospensione della signora è molto breve.
Gira gli occhi e indossa uno sguardo di fuoco: «Io voto per Salvini».
Signora
ci faccia capire. Lei, diciamo così, non ha l’accento dei portuali di
Oslo...«Io sono siciliana. Sono di Messina». E allora, scusi, perché
vota per la Lega? «Voto per la Lega perché la Lega abolirà la legge
Fornero e io quella lì non la voglio vedere».
È arrabbiata con la
signora Fornero? «Sarebbe arrabbiato anche lei sa? Arrabbiatissimo. Io
dovevo andare in pensione a 58 anni. E invece ci andrò a 63. Una bella
differenza no? Cinque anni in più a contare i tappini e i pezzi nelle
scatole».
Giuseppina non è l’unica arrabbiata che si ferma a
parlare. I più, va detto, tirano diritto. I “non voto grazie” sono in
maggioranza e c’è da sperare che almeno una parte siano di tute blu che
non hanno voglia di rispondere alle domande. Tra chi accenna a una
risposta fugace prima di scappare prevalgono nettamente i «voto Cinque
stelle», gridato come un urlo liberatorio. Lino, 58 anni, è uno che
accetta di fermarsi a ragionare: «Ho sempre votato a sinistra. Prima Pci
poi tutti gli altri partiti che sono venuti dopo fino al Pd. Ma adesso
sono incerto». Pesa la divisione tra Pd e Leu? «Cosa? Ma non hai capito.
Io
sono incerto perché non so se rimanere a casa o andare a votare Cinque
stelle». Perché non più la sinistra? «Perché ha promesso, promesso ma
non ha fatto niente. Poi Renzi mi è antipatico». Però, insomma, gli 80
euro, le nuove leggi sul lavoro, non è che non abbiano fatto
niente...«Ecco quella di fare le leggi che voleva Berlusconi come
l’articolo 18 se la potevano proprio evitare. E sai qual è il risultato?
Che io sono qui a montare i bracci dei cambi.
Arrivo a casa la sera e mio figlio è sul divano a giocare con la play.
Non
dovrebbe essere il contrario? Almeno i Cinque stelle sono giovani e può
darsi che cambino qualcosa». Paolo è tra i meno arrabbiati. È sulla
quarantina, giacca a vento, arriva in bicicletta. Che cosa voterà? «Sono
molto incerto. Ho sempre votato a sinistra, ma dopo la divisione del Pd
non so davvero che cosa fare. Deciderò all’ultimo momento». È molto che
lavora in fabbrica? «Una decina d’anni». Quale parte del cambio
produce? «Sono al controllo di produzione. Ma non sono un dipendente. Ho
sempre preferito rimanere un consulente esterno».
Una delle
differenze tra il lavoro fordista del Novecento e quello precario del
Duemila è che quello del nuovo secolo non ha cancelli di ingresso. Non
c’è una porta 20 per gli avventizi della pizza. Ognuno parte da casa sua
con la sua bici e il suo cubo di metallo sulla schiena. Li devi
rincorrere, fermare al volo come i taxi londinesi nei film in bianco e
nero. In via Bligny, pieno centro, Luigi fa il giro di consegne del
mattino. Bisogna intervistarlo dal finestrino dell’auto: «Studio
all’università.
Faccio questo lavoro per guadagnare qualcosa.
Spero di smettere quando troverò un lavoro serio. Ma conosco gente che
continua così anche dopo la laurea. Voterò Pd. Hanno fatto delle buone
cose sui diritti civili.
Scusa se non ti lascio fare domande. Ho
poco tempo. E poi vedi? Si è formata la coda dietro la tua macchina».
Non si può intasare il traffico per fare un’intervista. Meglio provare
ad andare da Greek food lab, ristorante greco in via Berthollet, nel
cuore di San Salvario. Qui prima di cena passano le nuove tute blu. Che
sono vestite di rosso, si prendono le pietanze e le portano nelle case
della città.
Franco arriva intorno alle sette di sera. Molla il
cubo a terra, entra nel ristorante e carica le dolmades ghemistes, le
foglie di vite ripiene di riso che fanno tanto estate anche nel gennaio
torinese. «Per chi voterò? Credo la Meloni. Già da giovane mi piaceva la
fiamma». Franco non è più giovane e lo sa. Che cosa ci fa a 45 anni su
una bicicletta?
«Eh, faccio 30 chilometri al giorno e guadagno
meno di mille euro. L’unico vantaggio è che mi tengo in forma. Ma c’è
poco da scherzare. Ero un commerciante, sono fallito e devo pedalare».
Commerciante in quale settore?
«Abbigliamento. Sono arrivato ad
avere dieci negozi negli outlet del Piemonte. La crisi e la separazione
da mia moglie mi hanno ucciso». Come mai la passione per la destra? «Ce
l’avevo da ragazzo. Poi sono entrato in polizia. E ho continuato a
votare per An, oggi per Fratelli d’Italia. La Meloni mi piace e poi non
sono così estremi come CasaPound».
Lino non passa dal Greek Food, sfreccia davanti. E già carico.
Arriva
da una delle pizzerie in fondo a via Berthollet. Sbuca dalla leggera
nebbiolina che sale dal Po. È un ragazzo esile e gentile. Si ferma anche
se è di fretta, a un richiamo dal marciapiede. «State cercando di
capire che cosa voteranno quelli come me? Allora vi sbagliate, io non
sono adatto». Che cosa vuol dire? «Io sono fuori target, sono strano».
C’è un motivo particolare? «Certo, io sono comunista». Beh è un’opinione
legittima: «Sì ma nessuno la capisce. I miei amici, chissà perché, non
l’apprezzano. A scuola ce la presentavano in modo negativo». Diciamo che
qualche problemino nel Novecento c’è stato: «Questo io non lo so. Ho 25
anni e vedo solo che il comunismo è una filosofia di vita. Privilegia
la giustizia e l’uguaglianza. Voterò Il Potere al popolo. E adesso
scusa, ti lascio.
Mi si fredda la margherita nel cubo».