lunedì 15 gennaio 2018

Repubblica 15.1.18
Le geometrie della sinistra
di Massimo Giannini


A quarantotto giorni dalle elezioni, una vignetta dell’ultimo numero del New Yorker fotografa uno stato d’animo diffuso: una sondaggista ferma un cittadino per strada e gli chiede «ha deciso per chi non andrà a votare?» Temo che questa vera e propria forma di sconforto civico e repubblicano sia forte soprattutto a sinistra. E temo che le performance degli attori che popolano la scena democratica non aiutino affatto a curarlo.
Semmai lo aggravino. La scelta di Liberi e uguali, che in Lombardia scarica Gori e nel Lazio sostiene Zingaretti, alimenta il conflitto.
Prima l’astensione, poi Lega e M5S
In un campo politico già balcanizzato come il centrosinistra, questa scelta disorienta le truppe e soprattutto prepara altre sconfitte. Spiegare agli elettori questa geometria variabile non è difficile: è impossibile. Se per Grasso e Bersani, Boldrini e D’Alema, Fassina e Fratoianni, la rottura con il Pd è davvero così insanabile da precludere qualunque alleanza prima e forse anche dopo il voto del 4 marzo, allora non si capisce perché in una sola regione la deroga al non expedit diventa possibile. Dire “si decide in base ai dirigenti locali” fa piangere, per una sinistra che giustamente contesta ai grillini la mistica della democrazia del clic e dell’uno vale uno. Dire “ si decide in base al merito” fa sorridere, per una sinistra che non può chiarire cosa funziona in Zingaretti e cosa non funziona in Gori, se non il suo originario “apprendistato” Mediaset.
La verità, forse, è più banale. In Lombardia, dove i sondaggi attribuiscono la vittoria sicura al centrodestra con un margine incolmabile, “Leu” si sgancia dal Partito democratico per dimostrare che senza il suo contributo si perde. Nel Lazio, dove invece l’esito è incerto, “ Leu” si coalizza nella speranza di poter dimostrare che con il suo contributo si vince. Un mero calcolo di “ utilità marginale”, nel quale si fa fatica a scorgere un respiro o una strategia. Se non la resa dei conti con Renzi, ansioso a sua volta di consumarla una volta per tutte e per sempre. È chiaro che il segretario del Pd porta la responsabilità primaria di una diaspora identitaria e culturale che va molto al di là della scissione tra gruppi dirigenti, per non aver saputo e voluto coltivare il suo campo di forze. Ed è chiaro che tuttora non riesce a fare quell’atto finale di generosità necessaria, quel pubblico passo indietro dalla premiership che forse ancora aiuterebbe a salvare il salvabile.
Ma oggi la posta in palio è infinitamente più alta, per tutti i leader e per tutta la sinistra. Coerenza per coerenza, per Liberi e uguali sarebbe stato più comprensibile portare fino in fondo l’irriducibilità dello strappo, su scala nazionale e locale, piuttosto che far coesistere la posticcia “pastetta laziale” con la “piccola vendetta lombarda”, che regalerà un’altra volta quella regione al centrodestra forzaleghista.
C’è da chiedersi qual è l’orizzonte politico di questo centrosinistra così disarticolato e diviso, di fronte al berlusconismo di ritorno che forse si riprenderà l’Italia partendo dalla criminalizzazione degli immigrati e dal condono fiscale. Qual è lo sbocco del Pd imprigionato nella propria autosufficienza e ossessionato dall’altrui incompetenza, che trasforma Orietta Berti in Rosa Luxemburg e ha paura persino di “ finché la barca va”? La Grande Coalizione all’italiana? Non siamo ridicoli: suona blasfemo qualunque accostamento a quella tedesca, che ha appena messo sul piatto 46 miliardi tra aiuti alle famiglie povere con figli, programmi di sostegno all’infanzia e all’ingresso dei giovani nel lavoro e spese per ricerca fino al 3,5 per cento del Pil.
Qual è lo sbocco di Liberi e uguali, che per Boldrini è totalmente incompatibile con i Cinque Stelle, mentre per Grasso “si vedrà il 5 marzo”? Non siamo patetici: è un patto del diavolo, quello con un movimento che rivendica con orgoglio la sua diversità strutturale dalla sinistra, fa prevalere le norme settarie del suo statuto interno sui principi- cardine della Costituzione, respinge i trattati europei, rifiuta il multiculturalismo e il multilateralismo, tratta il fenomeno migratorio come pura minaccia. Forse c’è ancora tempo, per salvare il salvabile. Ma servirebbe la consapevolezza di un destino comune, che oggi manca. Un’assunzione di responsabilità condivisa, che invece ciascuno scarica sull’altro. E invece vale per tutti il verso del poeta, quando cantava “anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”.