La Stampa 25.1.18
Se il governo del Presidente è un miraggio
di Federico Geremicca
Chi
ha memoria di qualche campagna elettorale più o meno recente, sa bene
che la promessa - e spesso anche la promessa esagerata - è parte
integrante della propaganda e della battaglia tra forze politiche
diverse. C’è poco da scandalizzarsi, insomma: purtroppo si tratta di un
fatto, e non solo italiano. Ma in questa sfida per il futuro governo del
Paese, c’è una novità che i partiti farebbero male a sottovalutare:
l’assoluto scetticismo con il quale la quotidiana valanga di promesse
iperboliche viene accolta dal cittadino-elettore.
Più di un
sondaggio ha rilevato che solo il 25% degli italiani intervistati
ritiene credibile che la mole di impegni e di annunci che sta
caratterizzando questa campagna elettorale possa essere realizzata. Tre
cittadini su quattro, al contrario, pensano che le tante promesse
elencate non verranno mai mantenute. E da tale valutazione discende,
naturalmente, un giudizio assai critico sul modo di agire e sul senso di
responsabilità dei partiti in competizione.
Il tutto sta dando
luogo ad un eccezionale paradosso: la campagna elettorale - che avrebbe
potuto segnare un riavvicinamento ed una rigenerazione del rapporto tra
partiti e cittadini - sta rischiando di trasformarsi agli occhi degli
elettori in una sorta di autodelegittimazione dell’intero sistema
politico. E non è l’unica novità, perché in ragione dalla gran mole di
annunci quotidianamente sfornati, anche il Movimento Cinque Stelle - la
forza politica più nuova di tutte - è investito da una evidente crisi di
credibilità. Se infine si annota che, a liste non ancora presentate, i
vescovi italiani hanno definito «immorale» un tale modo di agire, il
quadro si fa ancor più chiaro.
Questa sorta di «guerra delle
promesse», per altro, rappresenta ottimo carburante per il durissimo
scontro in atto tra i partiti e appesantisce le prospettive del
dopo-voto, già rese oscure - stando ai sondaggi - dal rischio di stallo e
ingovernabilità. La concreta possibilità che il 4 marzo non esca dalle
urne una omogenea maggioranza di governo, avrebbe forse dovuto spingere a
valutare con più attenzione - a destra come a sinistra - l’invito a
«non farsi del male» avanzato da Massimo D’Alema: una raccomandazione
invece subito cestinata nella convinzione che, se fosse impossibile un
esecutivo di «larghe intese», ci sarebbe sempre il cosiddetto governo
del Presidente a far da salvagente.
Già, un governo del
Presidente, come quello di Mario Monti (2011-2013) voluto da Giorgio
Napolitano per fronteggiare la drammatica crisi economica e finanziaria
che travolse l’esecutivo allora guidato da Silvio Berlusconi. Parliamo
di sette anni fa: un’era geologica, in politica. Lo scontro tra i
partiti non aveva i toni attuali, qualche figura super partes era stata
salvaguardata e la disponibilità alla collaborazione temporanea tra
forze diverse non era ancora considerata una bestemmia. Ma oggi? Chi
potrebbe starci e, soprattutto, chi potrebbe guidare un ipotetico
governo del Presidente?
Ad un giro d’orizzonte il panorama appare
desolato. La guerra senza quartiere che ha segnato questa legislatura ha
lasciato cocci e macerie anche tra le cosiddette «riserve della
Repubblica». Osserviamole. I presidenti di Camera e Senato sono appena
scesi in battaglia perdendo ogni profilo di terzietà; il sempre evocato
Mario Draghi si tiene fuori e lontano da questi incomprensibili giochi;
la Banca d’Italia (sorgente perenne in caso d’emergenza: si pensi ai
governi Dini e poi Ciampi) ha i vertici traballanti dopo il lavoro -
chiamiamolo così - della Commissione d’inchiesta sulle banche; e la
pattuglia dei senatori a vita sembra poter offrire solo i nomi di
Giorgio Napolitano (93 anni) e di Mario Monti (politicamente
improponibile). Restano la Corte costituzionale, i suoi ex Presidenti ed
il sempreverde Giuliano Amato...
Il quadro, come si vede, non è
particolarmente rassicurante. Ed è anche per questo che i partiti in
guerra farebbero bene a sparare qualche balla in meno ed a recuperare
qualche prudenza in più. Dopo il voto e dietro l’angolo, infatti, non ci
sono ancoraggi certi e soluzioni semplici. Si tenti, almeno, di non
complicarle ancor di più.