La Stampa 22.1.18
Giustizia alla prova sugli abusi contro le donne
di Vladimiro Zagrebelsky
L’imponente
fenomeno che dagli Stati Uniti e valicando l’oceano si è sviluppato a
partire da denunce di attrici di violenze e abusi sessuali da parte di
uomini, porta alla luce una realtà che caso per caso è di varia
consistenza materiale, ma è sempre grave e molto diffusa.
Carattere
unificante dei vari casi è l’assoggettamento della donna, in quanto
donna, ad una sopraffazione, che può assumere la forma della violenza
fisica o quella della minaccia di usare del potere prevalente che il
maschio abbia sui luoghi di lavoro, nei rapporti sociali, nella vita
famigliare.
L’ondata di denunce, qualunque sia il fondamento di
questa o di quella, è importante segno di rottura di una storica
subordinazione, oggi socialmente non più tollerabile. La battaglia
iniziata dalle donne non può essere lasciata ad esse sole. Tutte le
volte che sia in gioco la dignità e la libertà di qualcuno è l’intera
collettività ad essere offesa. Da essa si attende reazione.
Solitamente
si aspettano indagini e processi. Ci si limita a questo, con esiti
spesso deludenti. Questa volta invece si assiste, specialmente nel mondo
dello spettacolo, a iniziative di stigmatizzazione sociale, come quella
del rifiuto di continuare rapporti di lavoro con la persona indicata
come autore delle violenze. Certi attori, idoli del pubblico (e capaci
di produrre successo per film e spettacoli), diventano improvvisamente
infrequentabili e probabile causa di flop economici per chi lavora con
loro. Non più «macho» invidiati, ma soggetti da tener lontani. È questo
un segno molto importante della forza del movimento che si è messo in
moto e del terreno favorevole su cui interviene. Rischi di errori o
esagerazioni nel metter alla gogna gli accusati sono certo presenti. Ma
il valore della reazione sociale è indubbio.
Molte delle denunce
cui assistiamo daranno inizio a processi penali. Ma è probabile che,
dopo i tempi lunghi della giustizia, si abbiano sentenze di assoluzione.
Ci saranno assoluzioni perché la prova oltre ogni ragionevole dubbio è
difficile o impossibile in ognuna delle sempre diverse vicende: non
testimoni, normalmente, non documenti, non tracce. Una parola contro
l’altra e, nel dubbio, la presunzione di innocenza, irrinunciabile. Alle
assoluzioni seguiranno proteste e accuse, probabilmente infondate
poiché le regole del processo penale sono sempre stringenti. Ma le
proteste non dovrebbero lasciare innocentisti e colpevolisti sterilmente
confrontarsi. Le future prevedibili soluzioni giudiziarie non potranno
giustificare la conclusione che si tratta di una montatura da parte di
donne che inventano una realtà inesistente. Il rischio c’è, se non si
tiene conto della specificità dell’accertamento giudiziario penale, che
non necessariamente nega che i fatti siano avvenuti, anche quando
conclude che non vi sia prova sufficiente per una condanna. Evitiamo
dunque, come avviene solitamente in Italia, di ridurci a cercare
soddisfazione in esiti penali che potrebbero essere pochi. Mentre
l’efficacia di una rivoluzione che metta fine alla soggezione della
donna passa attraverso la diffusione della consapevolezza della sua
inaccettabilità. Come spesso accade, il richiamo alla funzione della
scuola è d’obbligo. Noi europei solleviamo obiezioni nei confronti di
altre culture e società, proprio perché irrispettose dell’eguaglianza e
della dignità della posizione della donna. Ecco un terreno su cui la
civiltà dell’Occidente deve ancora crescere.
Non è separato dal
tema degli abusi sessuali in danno delle donne, quello delle violenze
domestiche o legate a rapporti di coppia, di cui, in assoluta
prevalenza, sono vittime le donne. Si tratta di una realtà gravissima e
molto diffusa, che rimane largamente nascosta tra le mura domestiche
entro le quali la soggezione della donna è occultata. L’enorme numero di
uccisioni di donne da parte di uomini ne è solo l’aspetto più noto,
perché non nascondibile. Il fondamento discriminatorio in danno delle
donne degli abusi di tipo sessuale e delle altre violenze emerge anche
nella reazione delle varie autorità che dovrebbero proteggerne le
vittime. Dopo quelle pronunciate dalla Corte europea dei diritti umani
contro la Turchia e la Romania, anche l’Italia di recente è stata
condannata per la sottovalutazione, il ritardo, l’incuria con la quale è
stata trattata una serie di episodi di violenza in danno di una donna
da parte del marito. Violenze fisiche gravi e ripetute, denunciate dalla
donna senza che venissero prese misure contro il marito aggressore,
palesemente pericoloso. Una condanna per lesioni è arrivata dopo anni e
dopo che il marito, in un ulteriore episodio, aveva ferito la moglie a
coltellate e ucciso il figlio intervenuto a difenderla. La Corte europea
ha ricostruito il contesto sociale (e i dati statistici) riscontrando
che le donne sono sempre le vittime e che poco si fa efficacemente (non
bastano le leggi, che pur ci sono!) per combattere una piaga che è così
grave anche perché alle vittime si presta una ridotta attenzione, frutto
appunto di discriminazione.