La Stampa 19.1.18
Così i neofascisti italiani traslocano sui social russi
Immagini
di Mussolini, inni antisemiti e pugnali con le svastiche: gli
estremisti espulsi da Facebook fuggono su piattaforme estere
di Andrea Palladino
Minacce
di morte. Insulti razzisti, pesanti e irripetibili. E poi un fiume di
materiale negazionista, apertamente antisemita. Foto di coltelli,
passamontagna e richiami di guerra. È la rete dell’ultradestra, con
social pronti ad accogliere tutti i «patrioti» espulsi da Twitter,
Facebook o Google. Oppure a dare spazio ai messaggi più imbarazzanti
delle organizzazioni politiche neoafasciste, come CasaPound, pronte a
cercare consenso nelle urne. Parole e manifesti che è meglio non
mostrare sui canali social più noti, pena la chiusura degli account.
Lo
spazio alternativo più noto è diffuso si chiama Vkontakte ed è gestito
da San Pietroburgo. Considerato oggi il social network più usato in
Ucraina e in Russia, è stato fondato nel 2006 da Pavel Durov, dal 2014
il network appartiene a una serie di imprese riconducibili a uomini
vicinissimi a Putin, tra i quali Alisher Usmanov, il multimilionario
russo proprietario dell’Arsenal. CasaPound, con i suoi 2288 follower, è
sicuramente tra le organizzazioni politiche italiane più presenti. Con
una curiosità, che però rivela molto: la stragrande maggioranza dei post
sono scritti in ucraino e sostengono apertamente la fazione
nazionalista. La galleria delle immagini pubblicate negli ultimi tre
anni richiama soprattutto lo scenario ucraino e la minoranza serba in
Kosovo, diventando una sorta di vetrina geopolitica. Tantissimi gli
aperti riferimenti al fascismo, senza nessun timore di censure. Braccia
alzate, pugnali con la firma Mussolini, fasci littori e la solita
paccottiglia nostalgica del Ventennio. Il disegno di un ultras della
Lazio, con in mano un pugnale e la scritta «Arremba sempre», titolo di
una canzone degli ZetaZeroAlfa, è l’immagine visibile del contatto con
il mondo delle tifoserie. E per essere ancora più chiari, tre coltelli
incrociati, con il commento «assicurazione sulla vita».
Su Vk i
gruppi antisemiti trovano facilmente spazio, senza tanti problemi. La
community «Revisionismo storico», nonostante i pochi iscritti
(sessantanove, quasi tutti italiani), pubblica da diversi mesi post e
immagini per negare l’esistenza dell’Olocausto. Attività che diventa
quasi frenetica a ridosso della giornata della memoria del 27 gennaio.
L’iconografia utilizzata è la stessa che è possibile trovare sul sito
neonazista Usa «Stormfront», colpito negli anni passati da due inchieste
della magistratura romana.
Meno conosciuta è la rete gestita da
una società Usa, Gab.ai. È nata nel 2016 ed è pensata come una comunità
del movimento radicale alt-right statunitense. Il logo è il «meme»
(immagine virale usata in rete) «Pep the frog», la rana simbolo
dell’estrema destra a livello internazionale. Qui trova ospitalità chi è
stato cacciato dai network più conosciuti. L’account italiano «Celeste
Bazzoli» - creato un paio di settimane fa - è riferibile a un omonimo
utente di Twitter cancellato lo scorso dicembre dopo alcuni post
violenti: «I coglionazzi di Twitter mi hanno bloccato e mi hanno rubato
2300 follower», commenta. Poco prima su Gab aveva pubblicato un
messaggio di aperte minacce nei confronti della presidente della Camera
Laura Boldrini, allargato per l’occasione a quasi tutto l’arco
costituzionale: «Boldrini, Kienge, Chaouki, Karaboue, Alfano, Renzi,
Boschi, Bindi, Fiano, Grasso. Hanno devastato la nostra patria! La
sentenza è già stata emessa, vanno giustiziati». Molti gli utenti
italiani bloccati su Twitter per post razzisti, violenti o offensivi,
passati al network dell’alt-right: «Benvenuto Kirios, qui si può
tranquillamente dire che la Boldrini è una sguattera di Soros e nessuno
ti rompe le ...», scrive l’utente Autari König. Gab è anche utilizzato
per scambiarsi informazioni su come evitare problemi con altri social:
«Se ti interessa ho trovato un modo per rientrare su Twitter N volte
anche se ti sospendono in continuazione», scrive un altro utente
italiano, The Jocker.
Gab è soprattutto la piattaforma di
riferimento delle principali organizzazioni della destra radicale
anglosassone. Su questo social network ha trasferito il proprio account
Jayda Fransen, l’autrice inglese dei video islamofobi rilanciati da
Donald Trump lo scorso dicembre, suscitando la forte irritazione del
governo May. Twitter, dopo quei post, aveva chiuso le bacheche di
Fransen e del partito Britain First, ritenuti canali di diffusione delle
campagne di odio nei confronti di rifugiati e migranti. Oltre alla
Fransen è presente sul social dell’alt-right anche Nick Griffin, vice
presidente di Alliance for Peace & Freedom, il partito europeo
di estrema destra fondato e diretto da Roberto Fiore, leader di Forza
Nuova. Griffin su Gab parla senza grandi problemi di «genocidio bianco»,
diffondendo le tesi complottiste della sostituzione etnica.
Più
sofisticato e complesso è il progetto dell’organizzazione della destra
europea «Generazione Identitaria», presente in Italia, Francia, Austria,
Germania e Gran Bretagna. Si chiama «Patriot Peer» e una applicazione
dedicata ai «patrioti». Ha una funzione di radar sociale, che permette
di riconoscere e incontrare altri aderenti all’organizzazione,
scansionando un codice. Ha un’agenda di eventi - dalle «azioni dirette»
ai volantinaggi - che permette di acquisire punti e accedere a funzioni
riservate della app. Il progetto è ancora in fase di sviluppo ma
promette la massima riservatezza e server sicuri per tutti i militanti.
Un network nero e riservato.