La Stampa 18.1.18
Cina, la Rivoluzione culturale di Mao è scomparsa dai libri di scuola
Pechino approva una legge contro la diffamazione dei “martiri comunisti”
Che
si tratti della carestia provocata dal Grande Balzo in Avanti, della
guerra sino-giapponese o della tragedia della Tiananmen, la storia
rimane uno dei temi politicamente più delicati per la leadership di
Pechino. L’ultimo esempio è arrivato nei giorni scorsi, quando la Cina è
stata accusata di aver rimaneggiato gli eventi della Rivoluzione
Culturale in un libro di testo per le scuole medie. Stando alle immagini
comparse sui social, un intero capitolo della prima versione del
manuale era dedicato al movimento che sconvolse la Repubblica Popolare
tra gli anni ’60 e ’70. Nella nuova edizione lo spazio era stato ridotto
a pochi paragrafi. Per introdurre la Rivoluzione Culturale, la prima
versione del libro recitava «Mao Zedong credeva erroneamente che la
leadership centrale del Partito avesse un problema di revisionismo e che
il paese si trovasse di fronte al rischio della restaurazione del
capitalismo». Nella nuova edizione, la scelta del Grande Timoniere non
era più accompagnata dall’avverbio «erroneamente» ed era sparito il
riferimento al Partito Comunista. «Un paese che non riesce a fare i
conti con il passato, non può avere un futuro luminoso», si notava su
Weibo. Dopo giorni di dibattito, l’editore - la People’s Education Press
del Ministero dell’Istruzione - chiariva che nel libro di testo che
entrerà nelle aule a primavera, sarà spiegato «background, storia e
traumi» degli anni tumultuosi della Rivoluzione Culturale. Un periodo di
caos politico in cui Mao Zedong sfruttò l’entusiasmo e l’ingenuità
delle Guardie Rosse - giovanissimi studenti del liceo e delle università
- per riaffermare il proprio controllo sul Partito Comunista.
«Ribellarsi è giusto» diceva il Grande Timoniere. Uno slogan che ebbe
molta eco nelle università europee. Dal maggio 1966, in milioni furono
messi alla gogna e patirono torture perché considerati «elementi di
destra». Nella furia iconoclasta furono abbattuti i simboli della
«decadenza borghese», rasi al suolo edifici storici, chiuse le
università. Quando Mao capì che la situazione era andata fuori controllo
e che le Guardie Rosse minacciavano anche il suo potere, mandò i
giovani nelle campagne per «essere rieducati». L’economia uscì in
ginocchio dalla Rivoluzione Culturale e si stima che i morti furono
quasi due milioni. Anche figure di spicco della Cina caddero vittima di
quegli eccessi. Tra loro, Deng Xiaoping e Xi Zhongxun, padre
dell’attuale presidente cinese. La leadership di Pechino è consapevole
che oltre ai successi economici, la legittimità del Partito Comunista
poggia ancora sulla retorica romantico-rivoluzionaria della fondazione
della Repubblica Popolare e della sconfitta del Giappone nella Seconda
Guerra Mondiale. Appena assunta la leadership del Partito Comunista, Xi
Jinping ha così messo in guardia dal «nichilismo storico». «Perché
l’Unione Sovietica è collassata?», si chiedeva il leader cinese. «Perché
ha rigettato il ruolo del Partito Comunista Sovietico, così come le
figure di Lenin e Stalin», rispondeva Xi. La Cina ha così recentemente
approvato una legge che punisce la diffamazione degli eroi e dei martiri
comunisti. Una linea che punta anche a mantenere l’unità del Partito.
Nel maggio 2016 – 50esimo anniversario della Rivoluzione Culturale –
l’unico commento ufficiale è stato affidato a un editoriale del
Quotidiano del Popolo. Dopo la morte del Grande Timoniere, la
Rivoluzione Culturale è stata definita «una catastrofe», anche se Deng
Xiaoping non ha voluto annerire troppo la sua eredità. Mao è stato
accusato di essersi «gradualmente distaccato dalla realtà e dal popolo»,
ma le principali responsabilità per gli eccessi di quel decennio furono
addossate alla Banda dei Quattro, una «piccola cricca
controrivoluzionaria» guidata dalla moglie di Mao, Jiang Qing.
All’inizio degli anni ’80, il giudizio storico su Mao Zedong è stato
cristallizzato nella formula «70% giusto, 30% sbagliato». Una
sottigliezza che ha consentito alla leadership cinese di preservare
intatta la storia rivoluzionaria del Partito Comunista e l’eredità del
fondatore della Repubblica Popolare. Anche per questo il ritratto del
Grande Timoniere continua a incombere sull’ingresso della Città
Proibita, nel cuore di Pechino.