La Stampa 17.1.18
L’illuminismo di Allah
Piccoli islam laici crescono
Un libro a più mani di intellettuali musulmani decisi a fare i conti con la modernità, un approccio che parla anche a noi
di Francesca Paci
Si
fa preso a dire riformismo islamico. Ogni volta che un attentato tipo
Bataclan scuote l’assuefazione alla paura delle città occidentali si
torna regolarmente a chiedere l’ausilio apotropaico dei musulmani
moderati, quelli deputati a dissociarsi dalla violenza e mostrare così
la compatibilità tra Corano e modernità. Che sia un approccio ingenuo o
pragmatico, la questione è spinosa perché tira in ballo
quell’emancipazione edipica dal sacro che per noi si chiama Illuminismo e
per la umma resta ancora un problematico dover essere.
A quando -
è la domanda diffusa - l’irriverenza di un Voltaire musulmano? In
realtà, racconta l’interessante volumetto Islam des Lumières
(Rosenberg&Sellier), l’islam s’interroga da decenni sul suo
rapporto con il presente ma a partire dal 2015, annus horribilis
iniziato con il massacro di Charlie Hebdo, la voce degli intellettuali
disorganici si è fatta via via meno timida rivelando un’inquietudine
esistenziale che stride con l’immagine di una tetragona.
Finora,
spiega la curatrice e semiologa Alessandra Luciano, la maggioranza dei
riformisti, da Averroé a Ali Abd al-Raziq all’antropologo Malek Chebel,
si era mossa all’interno di una cornice religiosa che non metteva in
discussione la necessità di Dio. L’avvento dello Stato Islamico e il
cortocircuito delle diaspore hanno cambiato le carte in tavola portando
con urgenza alla ribalta il pensiero di chi vuole ridiscutere in modo
radicale il rapporto tra credente e dogma.
«Caro mondo musulmano
ti vedo in una condizione di miseria», scriveva il filosofo Abdennour
Bidar tre anni fa, mentre il web si riempiva di #JeSuisCharlie,
sostenendo che l’islam, «malato» d’integralismo come già aveva
sentenziato il compianto Abdelwahab Meddeb, non potesse più ritardare la
distinzione tra dimensione politica e religiosa. Nel libro, di cui
firma uno dei contributi, Bidar si spinge oltre. Prima di lui lo
studioso franco-algerino Mohammed Arkoun aveva affermato che il mito del
Corano - l’esperienza orale di Maometto piegata da una costruzione
storica a legittimare politicamente i suoi successori - si fonda su una
mistificazione a tutto danno della dimensione spirituale dell’islam. Un
terremoto concettuale. Ma se Arkoun, con irriverenza nietzschiana, ha
destinato ad Allah la sorte del Dio occidentale, cosa resta dopo? Altro
terremoto concettuale. Resta l’uomo, replica Abdennour Bidar ricorrendo
nientepopodimeno che ai testi sacri.
Sì, perché, spiega il
filosofo, sebbene la parola araba «khalifa» (da cui Califfo) sia stata
tradotta finora come «rappresentante, vicario di Dio» significa anche
«successore di Dio», significa l’uomo che rimpiazza Dio e, privo di
senso di colpa, ne raccoglie l’eredità assumendo prerogative divine.
Macerie totali.
Chi cercava un approccio illuminista all’islam (o
un approccio musulmano all’illuminismo) è servito. E non vale
l’argomentazione polemica di un dibattito limitato a pochi
intellettuali, perché anche la vis dialettica di Diderot e D’Alembert
non si esercitava in piazza ma nel salotto di Madame Geoffrin. Bidar
dunque, sulle orme di un grande riformista del secolo scorso come
Muhammad Iqbal, si concentra sul dopo la morte di Dio, quando l’islam
non rappresenterà più né la sottomissione teologica né un fatto sociale e
potrà tornare in campo come libertà personale.
Il futuro è
d’obbligo perché, ammesso che sia segnata, la strada non è certo in
discesa. Le cronache della umma ci raccontano a vari livelli lo
smottamento di un sistema che ha resistito a lungo al disfacimento
dell’impero ottomano. Nella Tunisia post 2011, dove il leader dei
Fratelli Musulmani locali Ghannouchi dedica infine il X congresso del
movimento a ritrattare l’antica convinzione d’una sovrapposizione totale
di ruoli tra Stato e moschee. Nell’Egitto del presidente al Sisi, dove
l’università islamica al Ahzar si affanna a sconfessare a colpi di fatwa
i terroristi nel nome di Allah. In tutti i regimi militari o teocratici
della regione, dove, da sempre, il potere politico si sostiene su
un’investitura religiosa e la religione puntella con motivi religiosi
l’ordine socio-politico.
La campana suona per tutti, compreso
l’occidente, che archiviato il nemico comunista si è ritrovato davanti
quello islamico e come già all’epoca dell’Urss lo guarda scorgendovi
riflesse le proprie contraddizioni. Gli esponenti dell’Islam des
Lumières - chiosa nel libro il sociologo Luigi Berzano - si chiedono se
la loro religione, politica per definizione stessa di Khomeini, sia
compatibile con la modernità e quale rivoluzione spirituale possa
consentirlo. È l’estremo terremoto in un mondo assai shakerato, con le
religioni che rifioriscono un po’ dovunque perché l’uomo non ha
rimpiazzato il loro ruolo di fornitrici di senso. L’islam ci riguarda
più che mai insomma e, secondo Bidar, potrebbe addirittura dare una
mano.