Corriere 17.1.18
La campagna elettorale
Promesse su tutto ma nessuno pensa alla scuola
di Marco Imarisio
La
scuola deve pensare a tutto, ma nessuno pensa alla scuola: non, almeno,
i politici in campagna elettorale. Per i partiti, è ormai evidente, non
si tratta di una priorità: nemmeno come pretesto di litigio. Come se
investire più risorse e attenzioni non significasse investire sul nostro
futuro.
La scuola deve pensare a tutto ma nessuno pensa alla
scuola. Non troppo, almeno. In campagna elettorale c’è anche lei, ogni
tanto fa qualche fugace apparizione, ma sempre in secondo piano. Non si
vede, non si sente. Dal rumore di fondo che ci accompagnerà fino al 4
marzo emerge un dato chiaro. La scuola non è una priorità. Ma «scuola» è
parola salvifica per qualunque candidato chiamato a dire la sua
sull’attualità. I ragazzi perduti e le baby gang di Napoli? Il rimedio è
la scuola. Legalizzare o no le droghe leggere? La scuola deve creare
consapevolezza nei giovani. Il razzismo strisciante? L’educazione alla
tolleranza comincia a scuola. Eppure il ruolo di comparsa le assegna
giusto una nota a margine anche nel catalogo delle promesse, via la
Fornero, via il Jobs act, via questo e quello, e infine, ma solo dopo
tutto il resto, via le tasse universitarie e la Buona scuola. Siamo pur
sempre il Paese che investe di meno, un punto sotto la media europea, ma
è nelle prime posizioni della classifica sulla dispersione scolastica,
al 14 per cento. Gli argomenti di discussione ci sarebbero, anche quelli
da usare contro l’avversario politico, ovvero nell’unica modalità
percepita negli attuali confronti. Chi contesta la riforma
Renzi-Giannini potrebbe sostenere che le assunzioni in massa dei docenti
precari non sono conseguenza diretta di quella legge, la 107, ma di una
sentenza della Corte di giustizia europea che ci obbligava a farlo in
assenza perpetua di nuovi concorsi per l’immissione in ruolo. E poi i
bonus da 500 euro, e il ruolo dei dirigenti didattici. Dall’altra parte
si potrebbe invece replicare che la Buona scuola è pur sempre meglio dei
tagli per 8,4 miliardi di euro nel triennio 2008-2011. Litigano o
fingono di litigare su tutto, lo facessero anche su qualcosa che conta
davvero.
Invece niente. I figli non interessano per ragioni
anagrafiche, i genitori sono categoria fluida e generica, gli insegnanti
hanno sempre meno peso. Ne parliamo dopo, magari con la nuova proposta
di riforma, consueto rito di passaggio per ogni nuovo governo. Come se
fare nuove e più avanzate proposte non fosse vitale. Come se investire
maggiore attenzione e risorse nella scuola non significasse investire
sul nostro futuro.