La Stampa 16.1.18
Senza la bomba
Una mostra racconta l’atomica e le sue terribili conseguenze- E la fa anche sentire: un boato assordante durante la visita
di Fabrizio Accatino
Quando
la bomba esplode, il boato è assordante. Un rumore fortissimo,
profondo, che risuona nel cuore e fa tremare le ossa. Dura due minuti,
ma sono due minuti interminabili. Il personale aveva avvisato che si
trattava di una simulazione, ma l’esperienza resta choccante. Quel
rumore sordo congela a orari fissi la mostra Senzatomica, da oggi nella
sua tappa torinese. Ironia della sorte, a ospitare un evento che
promuove la messa al bando delle armi nucleari è il Mastio della
Cittadella, sede del Museo Storico Nazionale dell’Artiglieria. Una
mostra sulla pace dentro il museo delle armi: un poetico corto circuito
che avrebbe deliziato Giovannino Guareschi.
Nel sottotitolo -
«Trasformare lo spirito umano» - riecheggia il primo paragrafo della
costituzione dell’Unesco: «Poiché le guerre cominciano nelle menti degli
uomini, è nelle menti degli uomini che si devono costruire le difese
della Pace».
«Il vero nemico non sono le armi atomiche ma il modo
di pensare che ci sta dietro» sottolinea il presidente di Senzatomica,
Daniele Santi. «Il sentirsi giustificati nel poter annientare,
cancellare dalla faccia della terra una persona, una città, un intero
paese solo perché si frappone fra me e un mio obiettivo. Un disarmo
internazionale si può ottenere soltanto partendo da un disarmo
personale, interiore».
Santi ha un entusiasmo contagioso,
inarrestabile. Questa mostra è una sua creatura. La segue dal 2011, da
quando è nata. Da allora ha toccato 75 città, dall’inaugurazione a
Firenze fino a Bari, passando per Pesaro, Milano, Bologna, Cagliari,
Roma, Napoli, San Marino. Un’iniziativa che negli anni ha raccolto
intorno all’ideale del disarmo nucleare oltre 330 mila visitatori, di
cui più di un terzo studenti delle scuole primarie e secondarie. Il nome
più illustre è Daniel Högsta, coordinatore del network internazionale
Ican, vincitore lo scorso dicembre del Premio Nobel per la Pace. Sarà in
visita alla mostra il primo febbraio alle 18,30. Per lui sono previsti
un tour guidato e a seguire una conferenza pubblica.
Tra foto,
infografiche, videoproiezioni e persino un vero Lance (un missile
nucleare di sei metri in dotazione alla Nato fino agli Anni 80), il
percorso multimediale si snoda per settecento metri quadrati e una
quarantina di minuti. Parte con toni cupi da day after (con le
video-testimonianze degli hibakusha, i sopravvissuti alle esplosioni di
Hiroshima e Nagasaki) ma dopo poco si apre alla speranza. La musica di
sottofondo cambia e così i colori. Undici pannelli variopinti
trasmettono ai bambini la trasformazione del cuore, portandoli nel
giardino della pace. Si parte dal fungo atomico per raggiungere l’albero
della vita.
Ad accompagnare i visitatori nella mostra quattro
guide sui generis, membri dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.
Nella vita fanno tutt’altro, ma si sono preparati accuratamente per
svolgere questo compito. Sono un insegnante, un astrofisico, un
idraulico e un ingegnere. Accolgono tutti con un sorriso, raccontano,
spiegano, si appassionano. Un valore aggiunto della mostra
particolarmente gradito, che aiuta i visitatori a riflettere e a
dialogare.
«L’unica risposta possibile per scongiurare un disastro
nucleare è proprio il dialogo” conclude Santi. «Solo così si potranno
risolvere situazioni come quella fra Kim Jong-un e Trump. Finché in
circolazione esisterà anche solo un’arma nucleare, l’umanità intera sarà
a rischio. Per me tutto quello che serve è racchiuso nelle parole
finali del manifesto contro il nucleare firmato nel 1955 da Russell e
Einstein: “Ricordiamoci della nostra umanità e scordiamo tutto il
resto”».