La Stampa 15.1.18
“Bellomo ha leso il nostro onore. Basta con le scuole fai-da-te”
Il
presidente del Consiglio di Stato parla della destituzione del giudice
“Vicenda dolorosa, ma abbiamo reagito. Chi ci attacca vuole il far west”
di Giuseppe Salvaggiulo
Alessandro
Pajno, presidente del Consiglio di Stato, parla per la prima volta
della destituzione di Francesco Bellomo, il giudice ormai noto per i
contratti con clausole sulle minigonne che faceva firmare alle allieve
della scuola di preparazione al concorso per magistrati. Mai, in 180
anni, vicende del genere si erano verificate nella suprema magistratura
amministrativa.
Esiste una questione morale nel Consiglio di Stato?
«Non in senso specifico. Fisiologicamente, come in tutte le organizzazioni sociali, ci può essere qualcuno che sbaglia».
I «cattivi maestri» di cui parla il presidente dell’Anm Albamonte?
«I
cattivi maestri possono essere dovunque, non solo nelle scuole per
aspiranti magistrati. Quindi tutti devono stare in guardia. Noi abbiamo
agito immediatamente, senza che ci fosse un procedimento penale, e lo
stesso Csm si è pronunciato subito dopo che noi lo avevamo informato».
Come ha vissuto questa vicenda?
«Con
dolore. Sono figlio di magistrato e ho dedicato la vita alla
magistratura e alle istituzioni. Bellomo è il terzo giudice destituito
nella storia della giustizia amministrativa. Solo chi ha la coscienza
per fare giustizia al proprio interno può rivendicare l’autorevolezza
per farla all’esterno».
La considera una vittoria o una sconfitta?
«Entrambe.
Una sconfitta per aver dovuto scoprire comportamenti di un collega
incompatibili con la dignità della funzione. Ma soprattutto una
vittoria, per la capacità del sistema di curare le patologie con
anticorpi adeguati. Ed è la prima volta che un qualsiasi giudice viene
destituito senza che nei suoi confronti fosse neanche iniziato –
all’avvio del procedimento disciplinare – un’inchiesta penale».
Bellomo protesta: nessun rilievo alla mia attività di giudice, avete censurato la mia vita privata.
«Si
lede l’onore e il prestigio della magistratura anche con comportamenti
esterni all’attività giurisdizionale, non solo alterando la regolarità
di un processo».
Bellomo farà ricorso. Decideranno Tar e Consiglio di Stato. Saranno imparziali?
«Certo.
Abbiamo nel nostro sistema un meccanismo di garanzia: i magistrati che
esamineranno l’eventuale ricorso sono tra quelli che non si sono mai
occupati del caso nella fase disciplinare».
Ma appartengono allo stesso corpo. Lei si fiderebbe, al posto di Bellomo?
«Assolutamente
sì. In fondo, quando un magistrato ordinario commette un reato, chi lo
giudica? Un altro magistrato: lei dubita che sia imparziale? E comunque
abbiamo una lunga casistica di sentenze di giudici del Consiglio di
Stato che smentiscono precedenti valutazioni di altri giudici dello
stesso corpo in sede consultiva. La Corte europea dei diritti dell’uomo
ha più volte riconosciuto l’imparzialità del sistema».
Come risponde a chi vi accusa di essere una casta che si autotutela?
«Con
i fatti. Questo caso, con il clamore e le storture collegate, non
sarebbe emerso senza l’intervento del Consiglio di presidenza della
giustizia amministrativa, il nostro organo di autogoverno. Siamo
arrivati prima delle Procure. Noi abbiamo avviato il procedimento
disciplinare, noi abbiamo avvisato il ministro della Giustizia, il
procuratore generale della Cassazione, il Csm. Se avessimo voluto
temporeggiare, nascondere o insabbiare, avremmo fatto l’opposto».
Un anno per decidere: perché?
«Abbiamo
ricevuto una denuncia nel dicembre 2016 e ci siamo mossi
immediatamente. In assenza di risultanze di indagini penali, è stato
necessario un accertamento particolarmente rigoroso dei fatti».
Proprio non si poteva accelerare l’istruttoria, considerando la singolarità del caso?
«I
tempi sono stati quelli più rapidi consentiti dalla legge. L’azione
disciplinare è stata avviata in 10 giorni anche se la legge consentiva
fino a un anno di tempo. Il procedimento si è svolto nel rispetto del
contraddittorio e dei diritti di difesa, effettuando tutte le audizioni
necessarie e deliberando direttamente la sanzione più grave. Il parere
dell’Adunanza generale e l’ultima delibera del Consiglio di presidenza
sono stati adottati praticamente all’unanimità. Sfido chiunque a trovare
un corpo istituzionale o un ordine professionale più severo e
rigoroso».
Ma perché Bellomo è rimasto in servizio per un anno, mentre era sotto accusa?
«In assenza di un procedimento penale, la sospensione cautelare avrebbe richiesto gli stessi tempi della sanzione definitiva».
Dunque la sua conclusione è che il sistema funziona?
«Con
i mezzi a disposizione, si è fatto il massimo. Ma il nostro
procedimento disciplinare è regolato da norme obsolete, che in parte
risalgono ancora al periodo fascista. Le più recenti sono dell’82. Al
contrario, per i magistrati ordinari sono state modificate nel 2006».
Che cosa si può fare?
«Non
possiamo cambiarle noi. Da anni il Consiglio di presidenza ha segnalato
l’inadeguatezza a vari governi; nel dicembre scorso ne ho ribadito
l’esigenza in una lettera alla presidenza del Consiglio. Abbiamo anche
predisposto bozze di riforma, ma non possiamo approvarcele da soli».
Csm
e Associazione nazionale magistrati hanno sollevato la questione delle
scuole per preparare il concorso in magistratura. Ai magistrati ordinari
sono vietate, a quelli amministrativi no. Bisogna estendere il divieto?
«Già
nel luglio scorso il nostro Consiglio di presidenza aveva deliberato
misure più severe per l’autorizzazione degli incarichi. Ho chiesto una
verifica dell’attuazione di questa delibera. Allo stesso Bellomo, dopo i
primi accertamenti, era stata negata l’autorizzazione a insegnare».
È sufficiente?
«No.
Occorre procedere a un profondo ripensamento della materia degli
incarichi di insegnamento nelle scuole di preparazione per i concorsi in
magistratura, senza riflessi difensivi e autoreferenziali,
confrontandoci con mondi diversi dal nostro: Csm, ministero, università.
Il dibattito si è già avviato all’interno del Consiglio di presidenza».
Molti
politici negli ultimi anni vi hanno preso di mira accusandovi di essere
un freno per il paese. Questa vicenda vi indebolisce?
«Semmai ci
rafforza, perché abbiamo dato prova di speditezza ed efficienza. Le
stesse documentate dall’attività giurisdizionale, al di là di certe fake
news che ancora circolano: arretrato dimezzato in pochi anni, tempi
processuali tra i migliori in Europa».
Ci sono studi che
attribuiscono danni economici al Paese dall’eccesso di processi
amministrativi. L’ex premier Prodi sì è chiesto, provocatoriamente, se
non sia il caso di abolire Tar e Consiglio di Stato.
«Ci sono
anche studiosi che hanno colto come la giustizia amministrativa possa
costituire un vantaggio economico per il Paese: perché una sana economia
si fonda sul rispetto delle regole da parte di amministrazioni e di
operatori economici, non sul far west del più furbo».
E i cantieri fermi? Le opere bloccate? Gli appalti e i concorsi annullati?
«Non
siamo affatto i giudici del no: non siamo noi a bloccare il Paese,
semmai la cattiva legislazione e l’eccesso di burocrazia. Anche
quest’ultima vicenda, con le sofferenze che ci ha procurato, dimostra
che in fondo i cittadini possono fidarsi di noi».