Il Sole 17.1.18
La Cina declassa gli Usa: «Debito insostenibile»
L’agenzia Dagong rivede il giudizio da A- a BBB+
di Marco Valsania
New
York Rullano tamburi di guerra economica - o quantomeno di pericolose
schermaglie - tra Stati Uniti e Cina. L’ultimo atto si è consumato sul
debito sovrano americano: l’agenzia di rating cinese Dagong ha deciso di
declassarlo, portandolo a BBB+ da A-, accusando Washington di
un’economia delle cambiali i cui rischi sono adesso «ulteriormente
esacerbati» dall’impatto di una riforma delle tasse che dovrebbe far
lievitare l'indebitamento di 1.400 miliardi in dieci anni.
Le
grandi agenzie internazionali di valutazione del credito mantengono
giudizi molto più solidi e stabili su Washington, con Moody’s e Fitch
che gli affidano il massimo di Tripla A e Standard & Poor’s che lo
preserva ad AA+ dal 2011. Ma l’annuncio di Dagong è diventato un nuovo
sintomo di preoccupazioni assai poco accademiche e tecniche e molto
politiche per operatori e investitori. Il segnale più recente di
instabilità e malessere nei rapporti tra due grandi potenze mondiali,
protagoniste di una danza di tensioni commerciali e politiche.
Il
drammatico nodo della Corea del Nord e del suo arsenale nucleare, seppur
tra spiragli di dialogo, è tuttora irrisolto, con la Casa Bianca che
preme su Pechino per maggior aggressività nei confronti della «vicina»
Pyongyang e, al contrario, minor espansionismo militare nel resto della
regione asiatica. Il timore è però anzitutto che tra l’amministrazione
Trump di America First e la Cina più determinata di Xi Jinping emerga
oggi una escalation a colpi di sanzioni e rappresaglie, su terreni che
concettualmente vanno da violazioni dalla proprietà intellettuale a
dumping e sicurezza nazionale e praticamente dai pannelli solari
all’acciaio, da elettrodomestici ad hi-tech. Un conflitto, per il mondo,
potenzialmente molto più grave di passati scontri economici con un
alleato asiatico quale il Giappone.
I toni nei rapporti di
interscambio si sono decisamente raffreddati dopo i costruttivi summit
iniziali tra Trump e Xi, che avevano promesso risoluzioni di contenziosi
e aperture di mercati per riequilibrare il passivo commerciale di
Washington, nel 2017 al record di 275,8 miliardi. «Insostenibile» ha
detto Trump durante una telefonata a Xi. Nel corso degli ultimi mesi
l’indurimento dell’atteggiamento americano è filtrato dal fronte
aziendale. Le autorità statunitensi hanno bocciato due operazioni
miliardarie targate Cina, l’acquisizione del produttore di
semiconduttori Lattice da parte di Canyon Bridge e quella del gruppo di
servizi di pagamento elettronici MoneyGram da parte di Jack Ma,
fondatore del colosso dell’e-commerce Alibaba. In entrambi i casi hanno
citato la national security, la protezione dati e di trasferimenti di
tecnologia delicata. Dal Congresso si alzano intanto ancora voci
affinché AT&T rompa con Huawei sugli smartphone e perché venga
respinto l’ingresso negli Usa dell’operatore mobile China Mobile. In
poco tempo, secondo alcune stime, si sarebbero arenati deal cinesi per
almeno cinque miliardi sulle sponde statunitensi.
L’allarme, a
detta degli esperti, riflette più in generale i dilemmi di una Cina in
ascesa a fronte di un’America in parziale ritirata dal palcoscenico
globale sull’onda di una «dottrina» che Trump dovrebbe riaffermare al
forum di Davos davanti a executive e politici la prossima settimana. Un
deterioramento che minaccia di imprigionare le relazioni bilaterali tra
Washington e Pechino in un clima irrequieto e incerto. Nel caso del
debito, indiscrezioni poi smentite avevano già scosso nei giorni scorsi
il mercato. Bloomberg aveva riportato che funzionari incaricati di
esaminare i giganteschi investimenti delle riserve in valuta estera
della Cina stavano considerando frenate o blocchi degli acquisti di
titoli del Tesoro americani, dei quali il Paese è il maggior detentore
con oltre 1.100 miliardi di dollari.
Dagong ha adesso messo
ufficialmente in chiaro che, con un debito federale Usa già a ventimila
miliardi e continue controversie sul budget, «la virtuale solvibilità
del governo potrebbe probabilmente diventare il detonatore della
prossima crisi finanziaria». Molteplici tasselli contribuiscono alla
valutazione. «Carenze nell’attuale ‘ecologia' politica statunitense
rendono difficile un’efficiente gestione del governo, quindi lo sviluppo
economico può deragliare». Mentre i «giganteschi tagli delle imposte
riducono direttamente le fonti per ripagare il debito, indebolendo ancor
più» la posizione del governo per fare i conti con la sfida.