il manifesto 31.1.18
La rivoluzione silenziosa delle donne contro l’obbligo del velo
Iran.
Le donne iraniane rappresentano una forza sociale che ogni giorno
combatte per la libertà di scelta, scardinando così un sistema che
lentamente sta implodendo
di Farian Sabahi
Rischiano due mesi di carcere e venti euro di multa.
È
questa la pena per le donne che osano liberare la chioma al vento nella
Repubblica islamica dell’Iran, dove il velo è obbligatorio nei luoghi
pubblici dal 1980.
Negli anni successivi alla Rivoluzione del 1979
il codice di abbigliamento era severo: nelle università era di norma il
maghnaeh che somiglia al velo delle suore perché è cucito in modo da
lasciare lo spazio per infilare la testa senza dovere fare il nodo al
collo e quindi senza il rischio che scivoli; il maghnaeh era
consuetudine anche negli uffici pubblici, dove ad attendere noi donne
erano le dipendenti pubbliche munite di detergente per togliere il
trucco troppo pesante; il chador era l’abito di ordinanza per i ceti
bassi ed era obbligatorio nei mausolei meta di pellegrinaggio: in quello
di Masumeh nella città santa di Qum e in quello dell’Imam Reza a
Mashhad.
IL VELO È SEMPRE stato l’oggetto della discordia in Iran,
basti pensare che nel 1936 lo scià di Persia lo aveva vietato, mettendo
in difficoltà tante signore non abituate a mostrarsi agli estranei a
capo scoperto.
Abolendo il velo, Reza Shah aveva evitato di
occuparsi di questioni più significative: gli uomini continuavano a
vantare svariati privilegi, come la possibilità di contrarre matrimonio
con quattro donne, divorziare a proprio piacimento ed ereditare una
quota maggiore rispetto alle sorelle.
Reza Shah fu costretto
all’esilio dagli inglesi, nel 1941. Con suo figlio Muhammad Reza Shah,
il divieto del velo venne meno e ognuno tornò a vestirsi come voleva: la
buona borghesia a capo scoperto, la stragrande maggioranza con il velo
nelle sue diverse declinazioni.
Il velo è poi diventato obbligatorio dopo la Rivoluzione del 1979.
In
questi quattro decenni il foulard è diventato sempre più striminzito,
per mostrare un numero di ciocche di capelli sempre maggiore.
Ma
rimane l’obbligo di coprirli almeno in parte con un tessuto. Leggero,
trasparente. Poco importa. Ma resta il fatto che il velo resta
obbligatorio: per alcune può essere una libera scelta, mentre per altre
non lo è.
Con un pizzico di solidarietà femminile, ora le iraniane
protestano di fronte all’obbligo dell’hejab. Anche le donne che invece
lo mettono per libera scelta.
QUELLA delle donne iraniane è così diventata una rivoluzione. Silenziosa, non violenta.
Scelgono
di indossare il velo bianco, per distinguersi dalle tante che optano,
convinte, per il nero. Alcune se lo tolgono, si fanno fotografare,
vengono arrestate.
Era successo a Vida Movahed, il 27 dicembre.
Trentun anni, un bimbo di 19 mesi, si era tolta il velo in pubblico il
giorno prima delle proteste in via Enghelab, la via della Rivoluzione a
Teheran. Il giorno dopo era stata arrestata. Domenica è stata
rilasciata, a comunicarlo su Facebook è stata il suo avvocato, Nasrin
Sotoudeh, nota attivista per i diritti umani.
«La sua liberazione
viene attribuita alla pressione internazionale, ma in realtà è la
pressione interna che preoccupata le autorità iraniane, anche perché nei
giorni scorsi una delegazione parlamentare ha potuto visitare il
carcere di Evin, dove si trovano i prigionieri politici», spiega Anna
Vanzan, esperta di Iran e docente all’Università Statale di Milano. E
aggiunge: «Le donne in Iran rappresentano ormai una forza sociale che,
con una protesta silenziosa ma quotidiana, stanno scardinando la
presunta monoliticità di un sistema che lentamente – ma inesorabilmente –
sta implodendo».
È EFFETTO domino: lunedì mattina un’altra
ragazza si è tolta il velo ed è salita su un blocco di cemento. Bene in
vista. È stata fotografata per dieci minuti. Poi sono arrivati gli
agenti in borghese ad arrestarla.
Si chiama Nargues Hosseini. Al
polso ha un braccialetto verde, segno che gli iraniani hanno memoria del
movimento verde d’opposizione del 2009 e dei suoi leader, agli arresti
domiciliari dal 14 febbraio 2011.
Il luogo è il solito,
significativo: via Enghelab, ovvero via della Rivoluzione. Ieri, la
stessa iniziativa è stata presa da altre tre ragazze.
Sui social
network circolano le loro foto. Si trovano nella capitale Teheran, per
terra c’è la neve. Alcune hanno i capelli scuri, lunghi e mossi.
Un’altra li ha corti, colorati di verde. Alcune si tolgono il velo nella
capitale, altre a Isfahan, Shiraz e località minori.
LA LORO è
una forma di ribellione. Non necessariamente contro il velo, ma contro
l’obbligo del velo che dovrebbe essere invece una libera scelta.
Di
certo, conclude Anna Vanzan, «eliminare l’obbligatorietà del velo non è
una priorità per le iraniane, ma la loro protesta in questo senso
diviene simbolica di altre ingiustizie che da anni le donne patiscono e
per le quali da anni combattono, come la riforma del codice di famiglia
che contiene articoli discriminanti le donne in istituzioni fondamentali
quali, per citare i più importanti, il matrimonio, il divorzio e
l’affidamento dei figli minori, la ripartizione dell’eredità perché in
Iran alle figlie femmine spetta la metà rispetto ai maschi».