il manifesto 31.1.18
Cassati o nel girone dei voti a perdere. L’ultimo repulisti degli ex Pci-Pds-Ds
Democrack.
La notte del lunghi bianchetti: Renzi e Fassino accompagnano i compagni
all’uscita. Via tutti i dem passati per la Fgci, si salvano pochi, per
lo più quelli trasformati in ultras del leader
di Daniela Preziosi
B.
«Beccattini, Beni, Bianchi, Bolognesi». C. «Carloni, Coscia». F.
«Filippi, Fiorio». Basta scorrere i gruppi parlamentari del Pd in ordine
alfabetico per capire la dimensione del fenomeno. La ’M’, per esempio, è
un’ecatombe. Manciulli, Manfredi, Maran, Marchi, Martini, Marroni,
Martella, Meta, Miccoli, Marantelli. Tutti ex ds, in alcuni casi ex
pds-ds, nella stragrande maggioranza ex pci-pds-ds, rimasti fuori dalle
liste Pd per la XVIII legislatura. È ovvio che un Pd che passa da 378
eletti a 200 previsti deve lasciare a casa metà dei suoi. E che c’è
anche una ragione statistica (erano la maggioranza) se il disboscamento
si abbatte su di loro. Eppure. Eppure c’è chi ironizza sull’ultima
«de-comunistizzazione». Perseguita con precisione scientifica. Non più
una simbolica rottamazione.
IN TOSCANA, PER ESEMPIO, solo due nomi
della parrocchia rossa sono in posizione eleggibile: Silvia Velo e
Susanna Cenni. In Sicilia, altro esempio, viene spiegato che «sono stati
falcidiati». A casa Beppe Lumia, notabile dell’antimafia. Il giovane
intellettuale Peppe Provenzano si è ritirato per non essere candidato
dietro alla deputata Daniela Cardinale, figlia del più noto ex ministro
Totò. «Renzi voleva mortificarlo», spiega Emanuele Macaluso. Rifiuti
anche altrove: nel Lazio quello di Mario Ciarla, unico orlandiano della
regione (e vicino a Zingaretti), piazzato nel fondo di un listino. Ai
dignitosi no, come quello di Cuperlo candidato a Sassuolo dove poi è
stato recuperato il ministro De Vincenti, vanno aggiunti i big che se ne
sono andati per raggiunti limiti di pensione (Anna Finocchiaro, Walter
Tocci, Ugo Sposetti, Mario Tronti). Ne esce un quadro del Pd inedito: in
cinquanta sfumature di bianco.
E NON BIANCO genere ’sinistra dc’.
In Emilia Romagna, terra di comunisti e ulivisti, per compensare
l’elezione degli ex centrodestra Pierferdinando Casini e Beatrice
Lorenzin, Renzi ha mandato Piero Fassino. Ma l’arrivo del ’big’ rosso
antico non cancella l’effetto paradosso della sfida Casini-Errani per il
collegio senatoriale di Bologna. «Eh sì, cari ex compagni bolognesi:
dovrete votare Casini», ha sfottuto ieri su facebook Mauro Zani, storico
segretario del Pds e poi dei Ds a Bologna, che fu richiamato in
servizio nel 1999 dopo la vittoria di Guazzaloca, primo sindaco di
destra nel capoluogo emiliano.
A PROPOSITO DI QUEI TEMPI: in
questa storia di rimozioni forzate, l’ultimo segretario dei Ds Fassino
merita una menzione d’onore. Chi lo ha visto in azione al Nazareno la
notte delle liste descrive il suo zelo nella parte di «esecutore
materiale» dei depennamenti di Renzi ai danni della minoranza orlandiana
(da oltre 100 parlamentari a 15): «Ha completato la sua missione
storica, quella di mettere una lapide sopra i Ds».
marantelli
FABIO
MUSSI, che proprio nel congresso del 2007 abbandonò Piero e compagni e
non aderì al Pd, si stupisce dello stupore: «Dentro il Pd il processo di
rimozione della sinistra era in atto da tempo, per trasformarsi in un
partito di centro dal profilo vago. Fin qui è stato un processo
culturale, ora siamo alla cancellazione fisica anche dei rari nantes».
Mussi oggi milita in Liberi e uguali e spera nel «travaso» verso il suo
partito. Appelli in questo senso si moltiplicano da Leu all’indirizzo
dei militanti della sinistra Pd.
ANCHE PERCHÉ GLI ESCLUSI spesso
sono dirigenti emblematici, noti o meno, ’cassati’ o collocati nel
girone dei candidati a perdere: da Daniele Marantelli a Varese,
uomo-chiave del rapporto con il nord leghista nonché tesoriere del
gruppo di Montecitorio, a Paolo Beni a Firenze, ex segretario dell’Arci,
a Lorenzo Beccattini ex segretario dei Ds di Firenze, alla femminista
Francesca Puglisi a Bologna. Al sottosegretario agli Esteri Enzo
Amendola, ex dalemiano e molto vicino a Napolitano. Al torinese Daniele
Borioli, abbandonato ai margini di un plurinominale di Alessandria.
A
PROPOSITO DI PIEMONTE: qui gli ex ds resistono. Vedasi le candidature
di Bragantini, Esposito, Fregolent, Giorgis, Rossomando. Ma, a parte gli
ultimi due, sopravvissuti orlandiani, gli altri sono compagni
“intuitivi” che da tempo sono diventati ultras renziani. Non a tutti
però è andata bene: neanche l’intuito ha salvato Nicola Latorre, ex
dalemiano, sodale del ministro Minniti dunque convinto di essere in una
botte di ferro: ha scoperto solo la notte dei lunghi bianchetti di
essere rimasto a terra.