mercoledì 24 gennaio 2018

il manifesto 24.1.18
Curdi mobilitati contro l’avanzata turca: «Afrin come Kobane»Siria. Primi due soldati turchi uccisi ma i civili morti sono già più di venti, anche bambini
miliziani siriani dell'Els ad Azaz per l'operazione detta Ramoscello d'Ulivo
di Rachele Gonnelli


Quando si accende una miccia sotto una fascina di paglia non si può mai sapere dove andrà a finire il fuoco. E l’incendio che la Turchia ha appiccato con l’attacco ad Afrin e Azaz, in territorio siriano, potrebbe sfuggirgli di mano. Ieri, quarto giorno dell’operazione stucchevolmente denominata «Ramoscello d’ulivo», oltre ai primi due militari turchi morti in territorio siriano, comincia a delinearsi un certo allarme degli ex alleati delle unità Ypg che finora hanno lasciato fare.
Il Cremlino oppone ancora il suo «no comment» alle accuse di tradimento che gli vengono dai curdi del Rojava ma il ministro degli Esteri Serghej Lavrov ha dovuto in qualche modo rispondere a diverse accuse sulla stampa russa e internazionale che parlano di un accordo e di uno scambio tra Mosca e il presidente turco Recep Tayyp Erdogan: lasciare a lui l’area di confine in cambio della città siriana di Idlib, ancora controllata dai miliziani di «Hayat Tahir al Sham», l’ex Fronte Al Nusra, legato a Al Qaida e sostanzialmente pilotato a distanza dai turchi. A chi faceva notare a Lavrov la strana coincidenza tra il ritiro delle forze russe dalla base di Kafr Jannah, collocata proprio tra Afrin e Azaz, lo stesso giorno, sabato, in cui è iniziata l’avanzata turca, il ministro ha risposto che la motivazione era «prevenire provocazioni e salvaguardare l’incolumità dei soldati russi». Lavrov ha cercato poi di spostare l’attenzione verso Washington, accusando gli Usa di incoraggiare le posizioni separatiste curde senza dialogare con Damasco.
Oltre la nebbia che in queste ore rallenta i combattimenti ad Afrin e le nebbiose e contraddittorie spiegazioni russe, c’è chi vede, come moneta di scambio tra Putin e Erdogan, la realizzazione del gasdotto Turkish Stream. La prima pietra della pipeline di cui si parla da anni, rallentata dalle sanzioni alla Russia, che dovrà portare il gas siberiano in Europa attraverso anche condutture sottomarine è stata alla fine posta proprio il giorno prima dell’ora x per l’operazione «Ramoscello d’ulivo».
La geopolitica dei tubi non risolve nessuna equazione bellica. E le mire neo ottomane di Erdogan, che potrebbero estendersi fino ad Aleppo – fanno notare i commentatori russi che ricordano le terre perse nel trattato di Losanna del 1921 – mettono in allarme Mosca e Damasco. Così ieri due razzi, pur senza far vittime, sono stati sparati dalle truppe di Assad in territorio turco, a Kilis e Hatay. Mentre nella base russa di Tartous a difesa di Damasco sono arrivati i nuovi sistemi missilistici di difesa aerea S-400.
I curdi si preparano intanto alla resistenza casa per casa e villaggio per villaggio «come per Kobane». Tramite l’agenzia Anha è stato diramato il testo di un appello alla mobilitazione generale contro «il governo fascista della Turchia». E insieme ai cristiani di Afrin si rivolgono alla comunità internazionale, mettendola di fronte «alla sua responsabilità morale e umana».
L’incognita resta la posizione finale degli Stati Uniti. Una telefonata tra Trump e Erdogan è attesa per oggi.