mercoledì 24 gennaio 2018

Corriere 24.1.18
La memoria e il caso Roma
Le vie dedicate ai razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo
La proposta di Raggi e la lezione di chi si oppose al giuramento
di Pierluigi Battista


La giunta romana di Virginia Raggi ha annunciato che nel Giorno della Memoria verrà tolta l’intestazione alle vie dedicate ai tre scienziati che avallarono, dando copertura pseudo-scientifica alle leggi razziste varate nel ’38 dal regime fascista, il «Manifesto della razza» con cui iniziò in Italia la discriminazione anti-ebraica, sfociata poi nella persecuzione degli anni bellici. Ma perché questo gesto non scada nell’ipocrisia, in un rituale per placare le coscienze, nell’autoassoluzione collettiva di un popolo che diede al fascismo un consenso larghissimo, sarebbe il caso che a Roma e negli altri Comuni italiani sorgessero contemporaneamente una via Giorgio Levi Della Vida, un viale Gaetano De Sanctis, una piazza Piero Martinetti, un largo Lionello Venturi e altre vie dedicate a Vito Volterra, Francesco Ruffini, Edoardo Ruffini, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Bartolo Nigrisoli, Fabio Luzzatto, Marco Carrara. Dodici intestazioni, come dodici furono gli unici docenti universitari italiani, tra migliaia e migliaia che si inchinarono per dire di sì e conservare intatte le loro cattedre, che si rifiutarono nel ’31 di sottoscrivere il giuramento di fedeltà al fascismo. Dodici eroi. Dodici eroi sconosciuti alla gran parte degli italiani perché l’Italia antifascista si è finora ben guardata dal celebrarli come eroi del dissenso e della dignità. Preferendo piuttosto sorvolare in silenzio su quelle migliaia di professori che con il fascismo e poi con il razzismo antisemita scesero a patti.
Un riconoscimento tardivo perché quei dodici nomi sono la prova che si poteva dire di No. E invece i più non dissero No nemmeno di fronte alle discriminazioni antiebraiche. Ha ricordato Roberto Finzi che quando ai docenti ebrei vennero sottratte le cariche Ernesto Rossi, allora oppositore del regime in carcere, disse che quelle leggi avrebbero rappresentato «una manna per tutti i candidati che si affolleranno ora ai concorsi». E le cose andarono proprio così. Per occupare le cattedre lasciate vacanti dai docenti ebrei perseguitati si fecero avanti molti nomi illustri che dopo il ritorno alla democrazia diventeranno padri della Patria antifascista. Dalle copertine dei libri scritti da autori ebrei sparirono i nomi dei discriminati e comparvero nomi razzialmente puri. E nessuno pagò per questo, va ricordato nel Giorno della Memoria. Anzi, come ha scritto nel 2002 Alberto Cavaglion, «dopo la fine della guerra la cattedra di Letteratura italiana sottratta ad Attilio Momigliano sarà sdoppiata perché fosse restituita a chi era stato illegittimamente cacciato, ma anche per non scomodare chi al suo posto era tranquillamente subentrato». Negli ultimi anni della sua vita Vittorio Foa ha detto: «Non uno di quegli illustri antifascisti aveva detto una sola parola contro la cacciata degli ebrei dalle scuole, dall’università, dal lavoro, contro quella che è stata un’immonda violenza. Forse non sto cercando una condanna morale ma il riconoscimento di un fatto».
Si racconta che quando Vittorio Emanuele Orlando, che al tempo del giuramento si era avvalso del suo diritto alla pensione, incontrò nel dopoguerra Edoardo Ruffini, figlio di Francesco, gli si rivolse con un «noi che abbiamo rifiutato il giuramento», l’interlocutore lo abbia raggelato: «Credo che tra la sua richiesta di pensionamento e il rifiuto del giuramento di mio padre vi sia una differenza». Appunto, quello che Foa ha definito il rifiuto del «riconoscimento di un fatto». Per non riconoscere il «fatto» della sottomissione, dell’accomodamento della gran parte della cultura ai diktat del fascismo e dell’antisemitismo si è scelto di condannare all’oblio i dodici eroi che dissero di No. Perché la loro semplice testimonianza avrebbe dimostrato che l’umiliazione poteva essere evitata. Ecco perché intestare vie e piazze ai dodici eroi misconosciuti avrebbe un grande valore. Fuori dalle ipocrisie e dalle biografie abbellite.