giovedì 18 gennaio 2018

il manifesto 18.1.18
Il Pd erede del partito azienda
di Alfio Mastropaolo


A leggere le cronache della campagna elettorale il fondamentale problema del paese pare sia un possibile successo del Movimento 5 Stelle. Ben più attenzione, e preoccupazione, meriterebbero tre episodi che hanno testé interessato la nostra vita pubblica. L’ultimo, in ordine di tempo, è una dichiarazione dell’ingegner De Benedetti, che, ascoltato dalla Consob in tema di insider trading, si sarebbe con orgoglio autodefinito: «L’ultimo grande vecchio che è rimasto in Italia», in grado perciò di dare del «cazzone» a Matteo Renzi. Qualche giorno prima era giunta notizia che De Benedetti e Renzi si erano intrattenuti a palazzo Chigi, in presenza di un alto funzionario di Bankitalia, sulla prevista riforma delle banche popolari. A seguito dell’incontro, De Benedetti avrebbe effettuato un cospicuo e lucroso investimento borsistico sulle banche popolari.
Un secondo episodio è non già la richiesta di proroga delle indagini sul caso Consip avanzata dalla procura di Roma, ma un fatto citato nella richiesta: una cena in cui il comandante della legione Toscana dell’arma dei Carabinieri si sarebbe ritrovato col Renzi padre, consigliandogli chi era opportuno incontrare. Quante volte al mondo è successo che il papà del capo del governo andasse a cena con un alto ufficiale e trattasse simili argomenti?
Del terzo episodio non mette neanche conto parlare. È la vicenda Boschi. Banca Etruria: un membro del governo, senza alcuna cautela, ha attivamente intrigato a beneficio di una banca in cui sono coinvolti padre e fratello.
Che si tratti o meno di casi di corruzione spetta dirlo ai magistrati. Ma sono tutte inequivocabili prove del drammatico degrado della vita pubblica. Per molto tempo osservatori assai qualificati hanno segnalato la trasformazione di quest’ultima usando la formula del partito «personale»: inventato da Berlusconi, esasperando la tendenza alla personalizzazione della contesa politica, a sua volta favorita dai media. Nel partito personale il leader si fabbrica il partito a sua misura. In realtà, il tratto più originale del caso Berlusconi non è questo. Sta nel fatto che un grande imprenditore ha massicciamente investito risorse private nella contesa politica ricavandone a un tempo profitti politici e profitti privati. Detto altrimenti: Berlusconi ha inaugurato il partito-impresa, che opera trasversalmente tra politica e mercato.
Pareva un’anomalia legata alla biografia di Berlusconi. Gli episodi prima citati dimostrano invece che il Pd forse è divenuto un partito personale, ma ha di sicuro perfezionato il partito-impresa, volto contemporaneamente a condurre affari privati e a vincere le elezioni.
La tendenza si conferma osservando la sfera locale. L’imperativo gestionale che stringe alla gola gli amministratori, l’esigenza di gestire con profitto spazi urbani, servizi pubblici, servizi sociali, ha favorito l’insorgere di una miriade di partiti-impresa locali, che poi, secondo contingenti convenienze, si raccordano ai partiti nazionali. Per chi voglia approfondire l’argomento si segnala un numero recente (2017) della rivista Meridiana dedicato a Mafia capitale. Sono tutte vistose trasgressioni a un principio fondamentale per i regimi democratici, a suo tempo sottolineato da Michael Walzer: risorse politiche e risorse economiche non vanno cumulate.
Torniamo così, se è permesso, ai 5 Stelle. I quali non sono il maggior problema del paese, ma semmai l’anticorpo, mediocre, che il paese è riuscito a secernere. L’anticorpo ha una genealogia. L’idea del «partito degli onesti» la ebbero nel 1991 Leoluca Orlando e Nando Dalla Chiesa. Malgrado il promettente decollo, l’iniziativa finì male. Ci ha riprovato Di Pietro nel 1998 con Italia dei valori. È andata peggio. Ci si è messo infine Grillo, miscelando, un po’ a casaccio, tre ingredienti: l’irrisione, che è antica e illustre tecnica di resistenza al potere; il rinnovamento senza compromessi del personale politico; l’esoterismo, affidato a Casaleggio, che in tempi di crisi ha sempre successo.
La miscela è indigesta e democraticamente discutibile. Le amministrazioni a 5 Stelle danno prova di considerevole dilettantismo e sconcertante arroganza. Tocca però riconoscere che i grandi media e gli altri partiti conducono contro di loro una guerra senza quartiere e che esse hanno ereditato situazioni difficilissime. Quella di Roma è arcinota, ma anche attribuire ad Appendino la responsabilità di quella torinese è poco credibile. Gli elettori perciò non ci cascano e i sondaggi danno 5 Stelle col vento in poppa. A pagar pegno è soprattutto il Pd.
L’impresa Berlusconi-Salvini sta radunando la destra appellandosi agli umori più torbidi che allignano nel paese. Per contro, il partito-impresa Renzi-De Benedetti sta creando gravi sofferenze al suo elettorato, che in tema di moralità pubblica è piuttosto esigente. Ed è inutile provarsi a rassicurarlo additandogli l’incompetenza di Di Maio. Anche in materia, alla luce dell’esperienza dei governi Renzi e Gentiloni, il pulpito donde viene la predica ha poco di cui predicare