il manifesto 17.1.18
Razzismo, il problema (purtroppo) non è solo Fontana
di Alessandro Dal Lago
Fino
all’altro ieri solo poche decine di migliaia di lombardi avevano
sentito parlare di Attilio Fontana, già sindaco di Varese, vicepretore
onorario di Gavirate. Un avvocato, talvolta provvisto di barba e
talvolta no, considerato un «leghista per bene», come dire un leghista
scarsamente visibile, e infatti l’astuto Berlusconi aveva fiutato in lui
un possibile perdente.
E ora, l’estremista in grisaglia è uscito
con la storia della «razza bianca» da difendere contro gli immigrati
invasori, una dichiarazione che persino Trump esiterebbe a twittare. Un
bell’autogoal. Addirittura Gasparri ha preso le distanze dall’imprudente
vicepretore onorario.
Il quale però insiste e, invece di andare a
nascondersi, sostiene che persino la nostra costituzione parla di
«razza». Come se, dopo un autogoal, il giocatore responsabile andasse a
insultare l’arbitro.
Ovviamente il nostro vicepretore onorario
avrà frequentato il corso di diritto costituzionale (alla Statale di
Milano, dove si è laureato, è obbligatorio al primo anno). E quindi
saprà che la parola «razza» è ricordata all’art. 3 della Carta: «Tutti i
cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Ora, chiunque capisce che qui la parola «razza» è usata in senso antirazzista.
La
nostra costituzione è del 1947, e forse, a quel tempo, i padri
costituenti erano meno sensibili di noi alle sfumature lessicali.
Volevano dire semplicemente che la razza non conta. Magari oggi si
direbbe «tutti sono uguali davanti alla legge senza alcuna distinzione».
In
ogni caso, le parole significano per l’intenzione di chi parla e
soprattutto nel loro contesto (ma forse Fontana non lo sa, dato che
queste cose le insegnano a Lettere).
Ora, nell’Italia di oggi,
parlare di «razza bianca» a proposito di chi sarebbe minacciato dagli
stranieri è razzismo puro e semplice, esattamente come nell’Italia delle
leggi razziali o nel Mississippi del Ku Klux Klan.
Significa
infatti dire che c’è una categoria di cittadini che non deve mescolarsi
con altri cittadini o comunque soggetti tutelati dalla legge «senza
distinzione», come i migranti.
Insomma Fontana vorrebbe una
categoria di cittadini «pura». Ecco un’espressione esplicitamente
razzista, conforme in tutto e per tutto all’ideologia del suprematismo
bianco..
Detto questo, il problema vero non è certamente Fontana,
ma tutta la sua parte politica, che è sì in imbarazzo per l’uscita
dell’aspirante governatore, ma sotto sotto la pensa esattamente come lui
o usa parole simili per qualche voto in più. Come i 500.000 immigrati
delinquenti di Berlusconi.
Cifre immaginarie, iperboliche, che non
significano nulla, ma che terrorizzano anziani, persone fragili e
timorose, insomma un bel bacino elettorale da conquistare. Ma così
facendo, non si farà che aumentare il razzismo implicito o esplicito,
giustificare uscite sempre più clamorose, in una spirale senza fine.
Ovviamente, questo a Berlusconi non interessa. Ma sembra che non interessi nemmeno ai suoi supposti avversari politici.
I
reati diminuiscono, ma la domanda di sicurezza cresce, ha detto ieri il
presidente Gentiloni. E come spiegare, questa contraddizione così
plateale? Se è una questione di percezione, perché non lavorare sulla
percezione, invece di invocare maggiore sicurezza, e quindi mandare più
soldati e poliziotti in giro, facendo credere ai cittadini che i reati
stiano aumentando?
Misteri della politica italiana. No, il problema dell’Italia di oggi non è solo Fontana.