il manifesto 17.1.18
Olp, riconoscimento Israele sospeso sino a realizzazione diritti palestinesi
Palestina
. Il Consiglio Centrale ha chiesto anche l'interruzione della
cooperazione di sicurezza. L'attuazione dei provvedimenti deve essere
approvata dal presidente Abu Mazen. Intanto sull'Unrwa, l'agenzia
dell'Onu che assiste i profughi palestinesi, grava la minaccia del
taglio dei fondi Usa
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
«Niente riconoscimento di Israele senza reciprocità». È stato
perentorio ieri Nabil Shaath. Ex ministro degli esteri dell’Autorità
nazionale palestinese (Anp), Shaath è stato uno dei personaggi di spicco
degli “anni di Oslo”. Fino all’inizio della seconda Intifada, nel 2000,
come molti suoi colleghi di governo vendeva ai palestinesi un futuro di
prosperità, libertà e indipendenza che non è stato mai raggiunto, come i
critici degli accordi firmati da Israele e Olp nel 1993 avevano
ampiamente previsto. Oggi Shaath è fautore della linea della fermezza
nei confronti di Israele e degli Usa. «Il Consiglio centrale palestinese
ha deciso di congelare il riconoscimento di Israele da parte dello
Stato (palestinese) fino a quando Israele riconoscerà la Palestina come
Stato», ha annunciato Shaath riferendo che con 74 favorevoli, due
contrari e una dozzina di astenuti il parlamento ridotto dell’Olp ha
dato «seguito concreto» al discorso pronunciato domenica da Abu Mazen.
Il presidente palestinese, usando un insolito tono battagliero, ha
proclamato la fine del processo nato a Oslo nel 1993, a causa delle
politiche di Israele, e ribadito il secco rifiuto del piano di pace
americano, noto come “L’Accordo del secolo”, dopo lo «schiaffo» dato ai
palestinesi da Donald Trump con il suo riconoscimento unilaterale di
Gerusalemme come capitale di Israele.
Sul «seguito concreto» la
cautela è d’obbligo. Che la rabbia di Abu Mazen e del suo entourage sia
genuina non ci sono dubbi. Tuttavia è bene ricordare che il Consiglio
Centrale dell’Olp, ad esempio, non solo lunedì scorso ma già nel 2015
aveva approvato l’interruzione immediata del coordinamento di sicurezza
tra servizi palestinesi e israeliani. Ma tale decisione non è mai stata
attuata ed è rimasta congelata per decisione proprio di Abu Mazen,
chiamato ora a ratificare e a rendere esecutive le richieste fatte dal
Consiglio Centrale dell’Olp. Che ciò possa avvenire è difficile
crederlo. Abu Mazen ha fatto la voce grossa ma non ha ordinato lo stop
alla cooperazione di sicurezza, lo confermava ieri all’Ong “Israel
Project” il colonnello Alon Eviatar del Cogat, l’ufficio militare che
coordina le attività del governo israeliano nei Territori occupati. Il
presidente palestinese inoltre si è guardato bene dal velocizzare la
riconciliazione con gli islamisti di Hamas che controllano Gaza. «Abu
Mazen intende tenere aperta la porta sull’Occidente e sa che
riconciliandosi con Hamas in questo momento delicato in cui cerca
appoggi in Europa e altri Paesi, quella porta si chiuderebbe», spiega al
manifesto l’analista di Gaza Mukreim Abu Saada. Anche i contatti con
gli Usa non sono stati interrotti totalmente.
Sullo sfondo di
questa battaglia diplomatica fatta di proclami, dichiarazioni e minacce
verbali, si consuma il dramma di milioni di profughi della Nakba
palestinese (1948) e dei loro discendenti in attesa di conoscere se gli
Stati Uniti, come minacciano da giorni, ridurranno drasticamente il loro
contributo (355 milioni di dollari nel 2017) all’Unrwa, l’agenzia
dell’Onu che assiste 5,3 milioni di rifugiati palestinesi e gestisce 711
scuole e 143 cliniche. «La nostra agenzia resta impegnata a svolgere i
suoi servizi vitali per i profughi palestinesi. Nonostante le intenzioni
manifestate dagli Stati Uniti, continuerà a operare in Siria, Libano,
Giordania, Cisgiordania e Striscia di Gaza e a Gerusalemme Est»,
assicura un portavoce dell’Unrwa, Sami Mashasha. L’allarme comunque è
concreto. Ieri sera si attendevano le decisioni di Washington che, come
ha avvertito Trump, è pronta a congelare la metà del primo contributo
annuale Usa all’Unrwa di 125 milioni di dollari. In questi ultimi anni
l’Unrwa ha già dovuto affrontare una riduzione delle donazioni
internazionali, causata della diminuita attenzione verso i diritti dei
profughi palestinesi. Israele è favore dei tagli minacciati dalla Casa
Bianca. Secondo il premier Netanyahu l’Unrwa dovrebbe sparire poiché,
afferma, con la sua attività assistenziale impedirebbe l’assorbimento
dei profughi palestinesi nei Paesi arabi in cui si trovano e
alimenterebbe il desiderio dei rifugiati al “ritorno” in Palestina.