il manifesto 17.1.18
Ma nell’articolo 3 c’è l’identità del paese
di Massimo Villone
Gli
antichi fantasmi mostrano una deplorevole tendenza a ritornare. Ma non
era mai accaduto che un candidato di primo piano in una importante
campagna elettorale facesse una esplicita affermazione razzista, come
Fontana. Persino ribadita con un richiamo alla Costituzione.
Il
razzismo impone un rigetto immediato, senza se e senza ma. La storia lo
consegna indelebilmente segnato da ingiustizia, discriminazione,
sfruttamento, violenza, persecuzioni, sangue, pulizia etnica, genocidio.
Il nostro paese non ne è stato immune, e ha avuto le sue leggi a tutela
della razza. Anche nelle convulsioni finali del fascismo, la
costituzione della repubblica di Salò sanciva, nell’art. 1, che «nella
nazione italiana compiutamente si realizza la stirpe con i suoi
caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali».
Richiamava altresì, nell’art. 72, la «purità della stirpe» tra le
finalità essenziali della politica demografica della repubblica.
Prevedeva infine, all’art. 73, il divieto per il matrimonio di cittadini
italiani con sudditi di razza ebraica, e leggi speciali per quello con
sudditi di altre razze o con stranieri. Che la costituzione citata da
Fontana fosse quella di Salò?
No. Se l’avesse conosciuta, avrebbe
capito perché la Costituzione italiana include la razza nella forte
affermazione dell’eguaglianza posta dall’art. 3: tutti hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di
sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di
condizioni personali e sociali. È tra le norme che più nettamente
disegnano l’identità del paese. In specie, richiamando la razza
l’articolo 3 nega che possa essere assunta a legittimo fondamento di
regole giuridiche. Il legislatore deve essere cieco rispetto alla razza,
che non ha diritto di cittadinanza nell’ordinamento giuridico, se non
in termini di sanzione nel caso si volesse dare ad essa riconoscimento. È
l’esatto contrario del pensiero del candidato governatore.
Alcuni
studiosi negano che esistano «razze» dal punto di vista scientifico.
Potremmo dire, in una sintesi certo approssimativa, che siamo già tutti
più o meno meticci. Ma dovremmo per questo espungere la parola dalla
Costituzione?
Una Carta fondamentale non è un manuale
universitario. In essa si leggono lo spirito e la storia di un paese, e
il suo progetto di futuro. Dunque, le ragioni per cui la razza è
richiamata – e deve rimanere – nell’art. 3 Cost. prescindono dal sapere
scientifico in materia. È possibile ci siano in Costituzione parole per
cui lo stato attuale delle conoscenze permetterebbe una modifica in
chiave di aggiornamento. Ad esempio, possiamo oggi parlare di salute, di
cure, di trattamento sanitario negli stessi termini di un tempo, quando
la durata e la qualità di vita, e gli stessi confini con la morte, sono
incisi da una incessante innovazione tecnologica? Al tempo stesso,
però, è chiaro che non possiamo pensare che ogni settore del sapere
porti a un conforme e continuo aggiornamento dei dettati costituzionali.
E chi poi risolverebbe il contrasto – sempre possibile, ed anzi
fisiologico e fondamentale – tra scuole di pensiero e tra studiosi? E
se, nella specie, trovasse conferma l’ipotesi che tutte le «razze» siano
derivate da un gruppo di comuni antenati, rispolvereremmo il mito della
razza superiore? Dunque, no a seminari permanenti sulla Costituzione, e
lasciamo all’interprete il compito di mantenere i dettati
costituzionali aderenti alla realtà sempre mutevole.
Ma la scienza
ci piace, e molto. Ad esempio, ci dice che tra il Dna dell’uomo e
quello delle scimmie esiste una differenza di pochi punti in
percentuale. L’esperienza suggerisce, però, che per alcuni uomini la
differenza sia minore. E siamo certi che le scimmie abbiano un animo più
generoso e gentile.