Il Fatto 31.1.18
Record di desaparecidos. È peggio di una dittatura
Uno scomparso ogni 90 minuti: accuse e denunce contro le forze di polizia
Record di desaparecidos. È peggio di una dittatura
di Orsetta Bellani
Quando
arrivò alla Procura di Azcapotzalco, a Città del Messico, la madre di
Marco Antonio Sánchez Flores, 17 anni, scoprì che suo figlio non era mai
stato lì. Era il 23 gennaio, e una chiamata l’aveva informata del fatto
che il ragazzo era stato fermato della polizia mentre fotografava un
graffito. Lo accusarono di voler rapinare un passante e, anche se la
presunta vittima lo negò, un agente con il casco gli diede una testata e
gli altri lo picchiarono.
“Lo portiamo alla Procura di
Azcapotzalco”, dissero i poliziotti all’amico che lo accompagnava. Ma ad
Azcapotzalco non c’era traccia di lui. “In Procura ci hanno detto che
probabilmente era scappato con la sua fidanzatina”, afferma la madre del
minorenne. La stessa frase che migliaia di famiglie messicane si sono
sentite dire dalle autorità quando hanno denunciato la sparizione del
proprio figlio.
A molti il termine desaparecido fa pensare alle
dittature sudamericane degli anni ’70. A film o romanzi che raccontano
di oppositori politici torturati e uccisi, i cui cadaveri venivano
buttati in mare.
Ma nel “democratico” Messico la parola
desaparecido riempie ogni giorno le pagine dei giornali. Da una parte la
sparizione di un gruppo di giovani, dall’altra il ritrovamento di una
fossa comune. A volte la responsabilità viene data alle organizzazioni
criminali, altre volte la connivenza delle autorità è più difficile da
nascondere. E ci sono situazioni in cui la responsabilità dello Stato è
accertata e, in questo caso, nel diritto internazionale si parla di
sparizione forzata. L’esempio più noto è quello dei 43 studenti di
Ayotzinapa, fatti sparire nel 2014. Il coinvolgimento delle autorità è
stato documentato da una commissione indipendente.
Ma in Messico
ci sono migliaia di casi che non sono arrivati alla cronache
internazionali. Leticia Hidalgo si trovava nella sua casa di Monterrey
nel gennaio 2011, quando un gruppo di uomini armati entrò e si portò via
Roy, suo figlio, 18 anni. Alcuni di loro indossavano la casacca della
polizia.
Come molte altre madri messicane, Leticia Hidalgo milita
in un collettivo di familiari di desaparecidos, che non solo tengono
viva l’attenzione sul problema delle sparizioni forzate, ma organizzano
gruppi per cercare fosse comuni, con pale e picconi alla mano.
Storie
come quella di Roy sono tanto comuni in Messico che non fanno più
scalpore. Secondo cifre ufficiali, in Messico più di 34 mila persone
sono state denunciate come desaparecidas. Tra agosto e ottobre 2017, è
stata fatta sparire una persona ogni 90 minuti. E la cifra ufficiale
sicuramente sottostima la realtà, perché molto spesso per paura le
famiglie non sporgono denuncia. Un timore giustificato, visto che alcuni
genitori che si sono organizzati per cercare i propri figli sono stati
assassinati. La sorte di Marco Antonio è stata differente. Forse perché
la foto del giovane sdraiato a terra e picchiato dai poliziotti è
circolata rapidamente nelle reti sociali, forse perché quello che
succede nella capitale ha più risonanza, ma questa volta la risposta
della popolazione alla denuncia della famiglia è stata immediata.
Domenica le strade della capitale si sono riempite di gente che
chiedeva: “Dov’è Marco Antonio?”.
La notte stessa, il ragazzo è
stato rintracciato mentre vagava in stato confusionale a Melchor Ocampo.
Presto le autorità si sono vantate di aver trovato una persona che loro
stessi avevano fatto sparire, e le domande sono ancora molte: com’è
arrivato Marco Antonio a Melchor Ocampo, che si trova a 40 chilometri
dal posto in cui era stato arrestato? Cosa gli è successo durante quei
cinque giorni?
Quel che si sa è che il ragazzo è apparso con
sangue sul volto, con segni di percosse e vestiti differenti a quelli
che indossava. Non riconosce i suoi genitori e a loro sembra un’altra
persona: non parla ed è in stato confusionale.