Il Fatto 31.1.18
Parte in Commissione banche l’inciucio tra Pd e Forza Italia
La relazione della maggioranza passa grazie alle assenze strategiche dei forzisti
Parte in Commissione banche l’inciucio tra Pd e Forza Italia
di Carlo Di Foggia
Un
finale pirotecnico, ma anche il prologo di ciò che potrà accadere dopo
il 4 marzo. Il testamento che lascia la Commissione parlamentare
d’inchiesta sulle banche ha poco a che fare col credito, è politico: si
compie l’inciucio tra Pd e Forza Italia. Resta solo Renato Brunetta a
gridare all’“insabbiamento” nelle file del partito berlusconiano.
Ieri
la commissione doveva approvare la relazione finale. Come noto, il
presidente Pier Ferdinando Casini, eletto grazie ai dem dopo aver
pubblicamente denigrato la necessità di istituire la commissione, doveva
trovare l’intesa per un testo condiviso da tutti i gruppi, che
l’avrebbero poi integrato con proprie appendici sui temi più cari.
Semmai fosse esistito, l’intento è naufragato subito. L’ex Udc, la cui
gestione dei lavori gli è fruttata la candidatura nella coalizione di
centrosinistra nel seggio “rosso” di Bologna, si presenta con un testo
assai blando. Nessun cenno alle responsabilità del governo sui disastri
bancari e sulle attenzioni particolari di Maria Elena Boschi per
l’Etruria cara al padre, leggero sui peccati in opere e omissioni di
Banca d’Italia e Consob che hanno fatto infuriare migliaia di
risparmiatori e con qualche buon proposito per il futuro. Troppo poco
per le opposizioni dopo 200 ore di audizioni dove è emerso di tutto.
A
quel punto si è materializza il patto del Nazareno in salsa creditizia.
Viene messa ai voti la relazione di maggioranza predisposta dal
vicepresidente Mauro Marino (Pd), in teoria priva dei 21 voti (su 40)
necessari per essere approvata. Il testo però passa grazie a 19 voti a
favore, 15 contrari e 6 strategiche assenze che permettono di abbassare
l’asticella: Camilla Fabbri (Pd), Francesco Molinari (Misto), e ben tre
commissari di FI – Remigio Ceroni, Antonio D’Alì e Sandra Savino –
l’intera pattuglia azzurra in commissione con l’eccezione di Brunetta
che salva le apparenze votando contro, e Paola De Pin (Gal). “Abbiamo
fatto un miracolo”, esulta Casini, facendo infuriare le opposizioni. “La
commissione finisce con l’inciucio tra Pd e Forza Italia”, attacca
Giovanni Paglia (LeU). Carlo Sibilia (M5S) va giù duro: “Si è infranta
la verità sulle coperture che il Pd ha dovuto assicurare ai suoi
conflitti di interessi, specie quelli della Boschi. Non c’è nessuna
proposta seria”. I 5Stelle annunciano esposti in Procura sulle vicende
emerse in commissione.
Tocca poi ad Andrea Augello (Idea) fissare
il punto: “Un vero peccato che fossero assenti i forzisti. Un peccato
anche più grave che la senatrice De Pin, del Gruppo Gal e quindi vicina a
Forza Italia, sia dovuta improvvisamente uscire dall’aula prima del
voto”, spiega il senatore, che associa la “strana coincidenza” al suo
siluramento avvenuto “per un eccesso di rigore nello svolgere il mio
ruolo di commissario”. Su Augello si è infatti consumato il banco di
prova dell’inciucio. L’uomo che più di tutti ha contribuito a far
emergere le contraddizioni tra Consob e Banca d’Italia e a far esplodere
il caso dei conflitti d’interesse della Boschi (comprese le
rappresaglie su Unicredit per il mancato aiuto dell’ad Federico Ghizzoni
nel salvare la banca Etruria) non è stato ricandidato. È stato escluso a
sorpresa dalle liste della “quarta gamba” del centrodestra – raccontano
– per decisione del plenipotenziario berlusconiano Antonio Tajani, pur
avendo un forte seguito politico nel Lazio. Stando ai rumors la
decisione sarebbe stata, per così dire, consigliata a Tajani – che
aspirare a fare il premier – da ambienti vicini al segretario Pd. Che
così ha evitato l’implosione della maggioranza e una nuova figuraccia.
Magra consolazione per chi aveva fatto nascere la commissione con
l’intento di inchiodare l’odiata Banca d’Italia ed è stato invece
travolto dalle miserie bancarie del governo emerse dalle audizioni,
finendo così per approvare una relazione priva di colpevoli. Non proprio
un capolavoro.