Il Fatto 23.1.18
Galleria Borghese: un set per le pubblicità di Fendi
Effetti della riforma pasticciata: la griffe potrà disporre delle opere del Caravaggio
Galleria Borghese: un set per le pubblicità di Fendi
di Alessia Grossi
“Fendi
adotta la Galleria Borghese”. “Fendi sostiene la Galleria Borghese: un
accordo triennale per promuovere Caravaggio nel mondo”. “Fendi
riconferma il suo impegno verso Roma e l’arte”. E infatti si tratta di
un progetto speciale: il primo dell’era Franceschini post riforma e
nuovo codice degli appalti, che devono finalmente sdoganare la sinergia
tra pubblico e privato. L’accordo tra uno dei musei più importanti
d’Italia e la casa di moda sotto il cappello del gruppo Lvmh. Peccato
che, a differenza di quanto annunciato, si sia rivelato un passo falso:
la griffe, difatti, potrebbe utilizzare come set per le proprie
pubblicità i locali – e quindi le opere esposte – della prestigiosa
Galleria.
L’accordo siglato a settembre scorso, infatti, è dovuto
tornare indietro, come nel gioco dell’oca, al vaglio del ministero dei
Beni culturali (Mibact), per non poche e non da poco questioni formali
sollevate dallo stesso consiglio di amministrazione della Galleria. Ma
andiamo con ordine. Oltre a farsi riconoscere per iscritto come unico
sponsor e poter quindi promuovere la propria immagine associandola a
quella della Galleria Borghese anche su siti web, canali tematici e
social network, alla maison di moda viene accordato di tutto.
Dall’accesso per sé e i propri ospiti ad anteprime, inaugurazioni,
visite di autorità e associazioni, alla possibilità di organizzare
visite private, un evento l’anno, sempre privato, nei locali della
Galleria, 500 biglietti omaggio annui, ma soprattutto di disporre dei
locali per le campagne promozionali. Il tutto per pochi spicci, peraltro
neanche sicuri. E qui vengono i problemi.
Il testo, che il Fatto
ha visionato, prevedeva che in cambio Fendi impegnasse nella Galleria di
Villa Borghese “fino a 100 mila euro l’anno” per tre anni, come da
contratto; oltre a 700mila euro da utilizzare nella creazione di una
Fondazione che si sarebbe occupata dell’“approntamento, l’alimentazione,
la diffusione della banca dati digitale del Caravaggio e per la
creazione del supporto che abbia competenza per l’organizzazione di
eventi ed iniziative, volte ad implementare la fruibilità delle opere di
Caravaggio”. È il cosiddetto “Caravaggio research”. Qualcuno potrebbe
domandarsi: perché mettere in mezzo l’intera Galleria Borghese per
implementare l’immagine del grande pittore? Nessuno lo sa. Ma
soprattutto, è stato quel “fino a 100 mila euro” a essere saltato
all’occhio di Antonio Lampis, da settembre neo-direttore generale per i
Musei del Ministero. Così come formulata, infatti, la frase consente a
Fendi un ampio margine di manovra, anche di cavarsela con cifre
irrisorie, alla faccia della trasparenza raccomandata dal ministro Dario
Franceschini. A Lampis si è rivolto il consiglio di amministrazione
della Galleria, che gli ha chiesto di visionare il contratto. “I
consiglieri hanno chiesto alla direttrice della Galleria, Anna Coliva di
sottoporlo alla mia attenzione – conferma Lampis al Fatto – cosa che
lei ha fatto prima di Natale. Credo che la correzione della cifra esatta
al posto del ‘fino a’ sia già stata apportata e ora il contratto con
Fendi è al vaglio dell’Ufficio legislativo per altre questioni più che
altro giuridiche”.
Si tratta di questioni che atterrebbero allo
Statuto della Fondazione per la ricerca di Caravaggio che la maison si
impegna a creare. E soprattutto ai diritti che quest’ultima avrebbe
sulle eventuali pubblicazioni. Insomma, non proprio dettagli secondari
che peraltro non avevano incontrato fin da subito neanche la simpatia di
Franceschini, fanno sapere dal ministero, il quale già in conferenza
stampa si era irritato per l’annuncio non quantificato del denaro che
Fendi si impegnava a investire.
A leggere il contratto, ora da
riapprovare, era chiaro che fosse a favore più della casa di moda che
del museo pubblico. “Verrà rimandato in cda, poi ai revisori contabili e
alla Corte dei Conti per avere l’ok”, spiega Lampis. Anche perché il
testo non è mai stato sottoscritto nel dettaglio dal cda. Nel contratto,
si legge che “in data 15 giugno 2017, la Galleria Borghese esaminava in
Consiglio di Amministrazione la proposta di Fendi, approvandola”,
peccato però che in consiglio – per stessa ammissione di Lampis – la
direttrice Coliva abbia portato solo “un’idea di accordo”. In teoria non
era obbligata a farlo visto che la riforma Franceschini lascia al
direttore ampi margini di discrezionalità, ma “per essere il primo
contratto di questo tipo, le cose bisognava farle bene”, ammette il
dirigente del ministero. Di tutto questo scompiglio, però, la direttrice
della Galleria nega al Fatto di averne avuto un qualche sentore: “Per
carità, dal ministero mi aspetto di tutto, ma a oggi non ne so niente,
anzi, sto ultimando i contratti per i ricercatori”, spiega, stupita
dalla notizia che il dicastero stia rivedendo il contratto. “Anzi –
chiosa – questo accordo darà lavoro”.