martedì 16 gennaio 2018

Il Fatto 16.1.17
Oggi il fascista se ne frega anche del Duc

di Antonio Padellaro

Il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi e gli odierni fascisti immaginari credono che basti una leccatina al busto del Duce per attingere voti al giacimento elettorale nero gorgogliante sotto i nostri piedi. Eh sì, quando c’era lui, caro lei, su “infrastrutture e politiche sociali c’era una visione”, dichiara petto in fuori il candidato leghista alla Regione Lazio. Che però trattiene l’italico ardore sulle “sciagurate leggi razziali” e “la guerra a fianco di Hitler”. Qui casca l’asino poiché al fascio 2.0 frega poco delle dinamiche della Seconda guerra mondiale quando invece considera “Romanista ebreo” o “Laziale ebreo” (ma anche “Juventino ebreo” o “Interista ebreo”, e via così con l’antisemitismo curvarolo) l’insulto più sanguinoso.
Poi c’è l’ammiratore a debita distanza, tipo il pidino fiorentino Maurizio Sguanci che, “fatto salvo che Mussolini è la persona più lontana da me” (ci mancherebbe) “nessuno in questo Paese ha fatto in quattro lustri quello che ha fatto lui in vent’anni”. Un’emerita fesseria destinata rapidamente ad appassire visto che l’endorsement dello Sguanci non resisterà che poche ore alla gogna di Facebook, con lui costretto all’abiura più mortificante. Ovvero: “Mussolini fu un criminale, anzi uno dei più grandi criminali della Storia. È più che assodato. È un fatto”. Conclusione di puro stampo ducesco che si sarebbe forse potuta bilanciare con un virile: “E gli puzzava l’alito” (ma non si può avere tutto). Come sempre in tema di furfanterie un tanto al voto, il primo a tracciare il solco fu Silvio Berlusconi nel 2013 (“Mussolini per tanti versi fece bene”). Banalità rieditata pochi giorni fa con un timido: “Mussolini non era proprio un dittatore”, peraltro subito ingoiata da un singulto: “Era solo una battuta”. Potremmo andare avanti a lungo con la galleria di all’armi siam fascisti o forse no se non fosse per la poco divertente commistione tra innocua nostalgia e ferocia razzista. Perché fascisti prêt-à-porter si dichiarano i manganellatori radiofonici della Zanzara, favorevoli all’annegamento in mare dei migranti e fautori delle camere a gas per i rom (più nazi che fasci dunque ma la differenza non sempre viene colta).
Un furore che alligna intorno a noi, una violenza cupa, bestiale, spesso omicida (i bengalesi ammazzati di botte a Roma, i clochard bruciati vivi da Verona a Palermo) sullo stampo della stessa disumana malvagità che concepì Marzabotto. E che forse perfino Lui non avrebbe approvato stando almeno al ritratto che ne fa il regista Luca Miniero nel film Sono tornato, a giorni nelle sale. Un dittatore redivivo, stralunato, accolto nelle strade dal saluto romano e tutto sommato più attratto dai social che dalla guerra alle plutocrazie giudaico massoniche. Nell’attuale schieramento elettorale da collocare tra Salvini e la Meloni (un pizzico più moderato del candidato leghista in Lombardia Attilio Fontana, convinto che “la razza bianca” sia in pericolo quindi “basta con gli immigrati”). Un fascismo da ridere anche se, ne siamo certi, pure al Mussolini autentico oggi quelli di Casapound negherebbero il voto.