Corriere 31.1.18
Strasburgo, i giudici: “Sì a Gesù e Maria nelle pubblicità”
Lo spot con Maria e Gesù tatuati Per la Corte Ue è libertà di espressione
Casa di moda lituana multata per «offesa alla morale». Strasburgo ribalta il verdetto
Salvini: “Sono indignato!”
di Luigi Offeddu
«Madonna,
che vestito!». «Gesù, che jeans!». «Gesù e Maria, che cosa state
indossando?». E sullo sfondo delle scritte le immagini di un Cristo
tatuato, con i jeans abbassati sui fianchi, e di una Madonna sbracciata,
incoronata di fiori in stile hippie. Gli slogan pubblicitari
campeggiavano nel 2013, e da domani probabilmente campeggeranno ancora,
sui manifesti di una nota casa di moda lituana, la Sekmaniedis Ltd.,
multata dal governo di Vilnius per «offesa alla pubblica morale». Quel
verdetto è stato appena ribaltato dalla Corte europea dei diritti umani
di Strasburgo: scritte e immagini, dice la sentenza che sigilla il caso
protocollato con il numero 69317/14, «non appaiono gratuitamente
offensive o profane, né sembrano incitare l’odio sulla base di una
credenza religiosa, o attaccare una fede in modo immeritato o abusivo».
Non sarebbero dunque «dissacranti».
Conclusione della Corte, dopo
varie altre considerazioni: è stata violata la libertà d’espressione
della casa di moda, che aveva fatto ricorso a Strasburgo, e la multa di
580 euro che le era stata appioppata dall’Autorità per la protezione dei
diritti dei consumatori dovrà esserle restituita. Più precisamente, le
decisioni prese a suo tempo da Vilnius «provano che è stata data
priorità totale alla protezione dei sentimenti delle persone religiose,
senza prendere adeguatamente in considerazione il diritto alla libertà
d’espressione». Mentre avrebbe dovuto essere raggiunto «un giusto
equilibrio tra protezione della morale pubblica e diritti delle persone
religiose da una parte e diritto alla libertà d’espressione dell’azienda
dall’altra».
Insomma: definire «inappropriato» e «superficiale»
l’uso di immagini religiose al di fuori del loro contesto, come avevano
fatto appunto le autorità lituane, non basta a giustificare la condanna
morale, e neppure la multa. «Accogliamo la decisione favorevole, ma né
allora né adesso voglio offendere o ridicolizzare le persone che credono
a questa o quella religione», è stato il primo commento dello stilista
Robert Kalinkin, capo creativo dell’azienda.
La sentenza non sarà
senza strascichi. E i primi si sono già avuti in Italia. Matteo Salvini,
candidato premier della Lega, attacca i giudici di Strasburgo: la loro,
dice, «più che Corte per i diritti umani dovrebbe chiamarsi Corte
islamica. Sono indignato. Se invece di Gesù e Maria nudi e tatuati usati
per vendere ci fosse stato Maometto avremmo già assistito all’assalto
alle ambasciate. Per me non si scherza su alcun simbolo e figura
religiosa». Gli fa eco il collega di partito Roberto Calderoli: «Da
questa Europa di tecnocrati lontani anni luce dal comune sentire del
popolo arriva l’ennesima offesa alla nostra storia».