Corriere 24.1.18
Il nuovo protezionismo
Dalle regole sul
commercio al prelievo aggiuntivo al 50% sui beni provenienti da Pechino.
Ecco perché la Casa Bianca ha deciso la via delle imposte sugli scambi
di Giuseppe Sarcina
WASHINGTON
Donald Trump va allo scontro commerciale con la Cina. E comincia dai
pannelli solari. Dazi per quattro anni sull’importazione negli Stati
Uniti: all’inizio il prelievo sarà pari al 30% del valore; poi andrà a
scalare fino al 15%. Dopo tanti slogan e proclami, ecco i primi fatti:
il protezionismo americano si materializza proprio nel giorno di
apertura del World Economic Forum di Davos. Una provocazione
premeditata? Forse. Il governo americano, però, ci stava lavorando da
tempo. Il 18 dicembre 2017 il presidente aveva presentato il documento
sulla «Nuova strategia per la sicurezza nazionale»: la Cina guidava la
lista degli «avversari economici». Il 17 gennaio 2018, in un’intervista
con Reuters , Trump aveva annunciato una serie di provvedimenti in
arrivo per contrastare «le scorrettezze» cinesi.
Ma
l’amministrazione imporrà dazi anche sulle importazioni di lavatrici per
i prossimi tre anni: 20% sui primi 1,2 milioni di pezzi e addirittura
del 50% sulle quantità aggiuntive. Gli Usa si riforniscono di
elettrodomestici «bianchi», come sono chiamati in gergo, soprattutto da
due grandi gruppi della Corea del Sud: Samsung e Lg Electronics. Il
segnale è molto chiaro. Se sono in gioco «gli interessi delle industrie e
dei lavoratori americani» Trump non fa distinzioni. Anche gli alleati
più strategici, come è il caso della Corea del Sud, possono finire
tranquillamente sulla lista nera. Su questo punto la squadra trumpiana
sembra insolitamente compatta: militari e affaristi sono d’accordo. La
«Nuova strategia per la sicurezza nazionale» è stata messa a punto dal
generale Herbert Raymond McMaster, mentre la concretezza delle misure si
deve al Rappresentante per il commercio Robert Lighthizer, avvocato
settantenne dell’Ohio, in campo contro «la minaccia cinese» fin dal
1983, quando era vice ministro nell’amministrazione di Ronald Reagan.
Certo
ora Washington dovrà prepararsi alla reazione dei Paesi colpiti. La
Cina e la Corea del Sud hanno già fatto sapere ufficialmente che faranno
ricorso al Wto.
Inoltre andranno fronteggiate le proteste che
salgono da larghe filiere di imprese. Certo la Whirlpool, multinazionale
degli elettrodomestici con sede in Ohio, lo Stato di Lighthizer, esulta
per il fardello imposto ai concorrenti sudcoreani. E due società
specializzate nel solare, la Suniva e la SolarWorldAmericas, applaudono
al freno posto al flusso dei pannelli cinesi. Ma i prezzi bassi di
queste componenti hanno consentito finora a molte imprese di fornire
impianti solari a costi sempre più convenienti. Abigail Ross Hopper, la
presidente dell’associazione dei produttori, la Solar energy industries
association, osserva in una dichiarazione riportata dal New York Times :
«I dazi causeranno una crisi in una parte della nostra economia che si
sta sviluppando velocemente. Alla fine decine di migliaia di operai
americani perderanno il posto di lavoro».
La difficoltà è proprio
questa: il protezionismo si rivela una politica divisiva non solo sul
piano internazionale, ma anche all’interno del Paese. Dazi e quote
mirate si stanno trasformando in linee di politica industriale a favore
dei pochi grandi finanziatori dell’amministrazione: le lobby
petrolifere, del carbone, dell’industria pesante e dell’acciaio.