mercoledì 24 gennaio 2018

Corriere 24.1.18
Tweet contro Israele, la modella con l’hijab perde il contratto
di Stefano Montefiori
L’Oréal ha licenziato la testimonial col velo dopo le polemiche per i toni violenti dei post sui raid a Gaza
di Stefano Montefiori


PARIGI Quando L’Oréal Paris ha scelto Amena Khan come modella per una nuova linea di shampoo, qualche giorno fa, l’annuncio è stato accolto come un evento rivoluzionario, ricco di implicazioni sociali e politiche, «una svolta», ha detto lei stessa.
Amena Khan, trentenne britannica co-fondatrice di Ardere Cosmetics e influencer con mezzo milione di abbonati su Instagram, è musulmana e porta il velo da quando aveva vent’anni. Prendendo per la prima volta una donna velata come testimonial di uno shampoo, L’Oréal Paris esibiva un atteggiamento inclusivo, attento alle minoranze e benevolo verso una pratica religiosa — indossare l’hijab — che in Europa è discussa e nelle scuole francesi proibita. Ma il sito di destra americano The Daily Caller ha esaminato l’attività passata della modella nei social media, e ha trovato la macchia. Nel 2014 Amena Khan ha scritto tweet di grande violenza contro Israele, definito uno «Stato terrorista» secondo la retorica di chi se ne augura la scomparsa.
Travolta dalle critiche, a soli quattro giorni da quel momento di ecumenismo pubblicitario la donna ha rinunciato alla campagna cancellando — invano — i tweet, che ormai si trovano facilmente su Internet.
Luglio 2014, durante la guerra di Gaza. «Per secoli arabi, ebrei e cristiani hanno vissuto pacificamente gli uni accanto agli altri in Palestina. Fino alla creazione di Israele». Rivolta all’allora premier britannico David Cameron: «Parli di porre fine al terrorismo eppure sei complice nella fornitura di armi a uno Stato terrorista», con l’hashtag «Basta Armi a Israele». E ancora a Cameron: «Hai offerto un “sostegno convinto” a un genocidio».
Oltre tre anni dopo, dimenticati quei tweet, Amena Khan commentava così il fatto di propagandare un prodotto per capelli che comunque nessuno — a parte i suoi famigliari — avrebbe mai visto: «Anche le donne velate si occupano dei loro capelli. Altrimenti dovremmo credere che le donne senza velo lo fanno solo per mostrarsi agli altri». Ma era ancora il momento — molto breve — della rivendicazione identitaria.
Su Instagram, due giorni fa, Amena Khan ha annunciato il ritiro dalla campagna. «Sono profondamente dispiaciuta per il contenuto dei tweet che ho scritto nel 2014 e per la rabbia e il dolore che hanno causato. Promuovere la diversità è una delle mie passioni, non discrimino nessuno. Con grande rammarico mi ritiro dalla campagna perché il dibattito che adesso la circonda distoglie dai sentimenti positivi e inclusivi che ne erano all’origine». L’Oréal Paris certo non l’ha trattenuta, anzi: «Il nostro impegno è verso la tolleranza e il rispetto nei confronti di tutti i popoli. Siamo d’accordo con la decisione di Amena».
Da anni il marchio francese, leader mondiale nei prodotti di bellezza, cerca di diversificare la sua immagine, un tempo identificata con la donna eterosessuale occidentale bianca, per rivolgersi a una clientela più vasta.
Nell’agosto 2017 L’Oréal Paris scelse per la prima volta una modella transgender nera, la deejay e attivista britannica Munroe Bergdorf. In quel caso fu il Daily Mail a trovare su Facebook questa frase, scritta dopo la marcia neonazista di Charlottesville negli Stati Uniti e rivolta a tutti i bianchi: «La maggior parte di voi non si accorge neppure o rifiuta di riconoscere che i vostri privilegi e successi come razza sono costruiti sulle spalle, il sangue e la morte della gente di colore». Munroe Bergdorf venne accusata di «razzismo anti-bianchi», licenziata, e poi assunta dalla piccola casa concorrente Illamasqua.