Corriere 23.1.18
«Ambasciata Usa a Gerusalemme per la fine del 2019»
Pence in Israele. Proteste dei palestinesi
di Davide Frattini
GERUSALEMME
I riferimenti biblici nel discorso parlano la lingua di un paio di
millenni fa. La data più importante citata da Mike Pence è molto più
vicina: davanti ai deputati israeliani riuniti alla Knesset per
ascoltarlo il vicepresidente americano promette che l’ambasciata a
Gerusalemme aprirà entro la fine del prossimo anno.
Dall’aula
vengono espulsi i deputati arabi che poco prima hanno esibito tra le
urla i cartelli con la scritta «Gerusalemme capitale della Palestina»
come a dire: il riconoscimento garantito da Donald Trump agli israeliani
— con il forte sostengo di Pence — non ci riguarda. Come non sembra
riguardare Abu Mazen che non ha voluto incontrarlo e anzi ha lasciato il
palazzo della Muqata a Ramallah per andarsene a Bruxelles, dove ha
visto i ministri degli Esteri europei e l’Alto rappresentante Federica
Mogherini.
A tutti il presidente palestinese ha chiesto di
riconoscere subito la Palestina come Stato, in risposta per ora ha
ottenuto la promessa che per l’Unione Europea i quartieri arabi di
Gerusalemme andranno a formare la capitale di una futura eventuale
nazione.
I palestinesi restano convinti — lo ripete Saeb Erekat,
per decenni ne è stato il capo negoziatore — che gli inquilini della
Casa Bianca «siano ormai parte del problema più che la soluzione. Quello
di Pence è un discorso messianico che servirà come regalo agli
estremisti nella regione».
E a tutto il Medio Oriente il
vicepresidente americano si rivolge quando assicura «l’Iran non otterrà
mai la bomba atomica, l’accordo sul nucleare è un disastro e gli Stati
Uniti si ritireranno da questa intesa mal concepita». Parole che si
rivolgono anche ai Paesi del Golfo preoccupati dall’espansionismo sciita
ordinato dagli ayatollah di Teheran.
L’alleanza con le nazioni
sunnite rischia di essere un’opportunità mancata — scrive Shabtai
Shavit, ex capo del Mossad, sul quotidiano Haaretz — perché Trump per
ora «ha solo offerto una serie di decisioni incoerenti»: «Per mobilitare
i sunniti e cacciare la minoranza sciita con i complici russi il
presidente deve costringere il governo israeliano a tornare alle
trattative» e arrivare alla soluzione dei due Stati. Che Pence dal podio
alla Knesset garantisce di voler ancora sostenere.
Il viaggio del
vicepresidente americano — che ha fatto tappa anche in Egitto e
Giordania — era previsto per la fine di dicembre, con la moglie Karen
sarebbe dovuto arrivare nei giorni attorno al Natale per dimostrare la
sua vicinanza, da devoto evangelico, alla minoranza cristiana in Medio
Oriente. Rinviato per il voto sulla riforma fiscale a Washington, si è
trasformato in Israele in una sosta univoca: anche i leader cristiani
arabi si sono rifiutati di incontrarlo, il passaggio a Betlemme con la
preghiera alla basilica della Natività è stato cancellato.