Corriere 16.1.18
Il volume di Roberto Mussapi sull’«esaltazione dello spirito»
Dioniso indecifrabile e impetuoso Il mito più moderno della Grecia
È il dio ibrido che assegna alle donne un ruolo dominante nei suoi riti
Ha ispirato Nietzsche, Dino Campana, Ungaretti, Mario Luzi e Pasolini
di Franco Manzoni
Affascinante,
contraddittorio, ibrido, indecifrabile, ubiquo. Una sensuale divinità
maschile ma di femminile indole, istintivo, misterico, ludico,
irrazionale, con la doppia natura di demone crudele, spietato,
selvaggio, e di dominatore salvifico, benevolo, dolcissimo come il
miele. È l’eterno adolescente, l’androgino Dioniso, chiamato anche Bacco
(l’epiteto Bàkchos significa «colui che lancia l’urlo»), a
sovrintendere il rito collettivo del simposio, l’offerta del vino, la
perdita della ragione, l’ebbrezza che libera da ogni senso etico, le
orge sessuali promiscue.
Le rappresentazioni iniziatiche
prevedevano che i suoi fedeli cacciassero a mani nude un animale,
sbranandolo e ingoiandolo a brandelli sanguinante e caldo. Un dio che
penetra nel corpo umano con il sangue dell’uva e tutto lo pervade,
agitandolo attraverso il ritmo della danza, scandito dai tamburi e
costellato dai gemiti di piacere senza limiti dei seguaci. Un corteo,
soprattutto di donne, il tiaso delle menadi, raggiunge così
l’esaltazione sacra collettiva con il rapimento della mente.
Nelle
Baccanti di Euripide l’aspetto di un Dioniso vendicativo è trasferito
alle sue invasate, mentre egli assume sembianze femminee, seguendo il
senso della diversità ermafrodita. Le donne sono fondamentali per la
ritualità dionisiaca, lo statuto femminile è dominante: sono loro a
guidare il tiaso, a diffonderlo e a gestire le iniziazioni. Dioniso è il
vero liberatore delle donne. Grazie a lui sono affrancate dal
patriarcato, abbandonano spola e telaio per provare estasi di ogni tipo,
avvicinandosi alla natura, correndo per i monti vestite di pelle di
animali, nel trasgredire ogni norma e le differenze delle specie,
raffigurate nell’atto di allattare cerbiatti, caprioli, lupacchiotti. Al
contempo sanno uccidere e sbranare, ripercorrendo il destino mitico del
loro signore.
Un dio universale ed egualitario, che annulla
differenze sociali e fisiche. Dioniso crea una comunità di simili,
liberi da vincoli di famiglia e di patria, in cui tutte le razze possono
riconoscersi. È inoltre la divinità dello smembramento, del sentirsi
lacerato in mille pezzi. La vitalità di colpo si interrompe con la sua
morte. Fatto a pezzi, viene comunque ricomposto e ridestato. La tomba di
Dioniso si trovava nel santuario di Apollo a Delfi, ove veniva adorato
ogni anno come il fanciullo risvegliato ad altra vita: il dio della
trasformazione, della finale rinascita e ascesa all’Olimpo per sedere
alla destra del padre Zeus. Un tema che richiama l’egizio Osiride e
sembra preludere alla figura di Cristo.
Dioniso è l’emblema della
divinità in perenne movimento per reclutare nuovi adepti. Nel mito torna
in Grecia dopo lunghi periodi passati in Oriente, e giunge a Tebe, sua
città d’origine, per punire chi non credeva alla sua natura divina. Pur
essendo considerato il dio del desiderio, è indicativo che le baccanti,
officianti il suo culto, a volte rifiutino ogni rapporto sessuale, come
testimoniano le arti figurative. Altre volte le menadi provano pulsioni
sessuali incontenibili, come irrefrenabile è il loro dio, manifestazione
di vitalità sessuale e generativa, che si evidenzia nell’esaltazione
del fallo, elemento cerimoniale onnipresente.
Tra gli epiteti di
Dioniso incontriamo Omestès , «colui che si ciba di carne cruda»; Orthòs
, «dritto», che allude alla sua prorompente continua capacità di
erezione, Dimètor , «colui che ha due madri», che rimanda alla sua
nascita duplice, poiché nel momento stesso in cui Semele muore folgorata
dall’epifania di Zeus, la suprema divinità estrae dal grembo della
donna il feto di sei mesi e se lo cuce nella coscia, un’incubatrice,
finché il piccolo non è pronto a nascere. Uno e molteplice, Dioniso
incarna pure il simbolo di sofferenza, persecuzione, stato
allucinatorio, follia e la genesi del teatro.
Ma perché Dioniso
ritorna nella cultura moderna? Tutto sta nel suo potere destabilizzante,
la capacità di oltrepassare qualsiasi confine, di suggerire nuove forme
di relazione e offrire libertà assoluta. Ricordando Dante e il celebre
sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io dedicato all’amico
Cavalcanti, oppure Leopardi ne Il sabato del villaggio o seguendo
Nietzsche e la sua rivisitazione mistica e sensuale del mito e della
nascita della tragedia, occorre sottolineare i numerosi poeti del
Novecento che convivono con Dioniso: Dino Campana e i suoi Canti orfici ,
Mario Luzi in A l fuoco della controversia , Gabriella Cinti, performer
che modula in greco antico il coro delle Baccanti , autrice di Madre
del respiro e di un saggio dal titolo I l dio del labirinto sulla
presenza dionisiaca a Creta e l’inedita commistione con Shiva, la
divinità principale dell’induismo. E ancora il primo Ungaretti de
L’allegria , Vittorio Sereni in Diario d’Algeria e ne Gli strumenti
umani , Pasolini con il suo romanzo e film Teorema , dove Dioniso
incarna la figura de L’Ospite, che si congiunge carnalmente con tutti i
membri di una famiglia borghese fino a farla implodere con la sua
scomparsa. La sola che si salverà sarà Emilia, la domestica, donna dei
campi che, cibandosi solo di ortiche, si farà alla fine seppellire viva
per poter ritornare alla Madre Terra da cui è venuta.