Corriere 16.1.18
In guerra per errore
Gli Stati Uniti stanno
spostando uomini e mezzi nel Pacifico. Dopo il falso allarme alle
Hawaii, i rischi di un conflitto non voluto
di Guido Santevecchi
Trentotto
minuti. Tanto è durato l’incubo di un attacco missilistico alle Hawaii
sabato, per il falso allarme causato da un funzionario della difesa che
al cambio di turno stava provando i sistemi e ha schiacciato il bottone
sbagliato. «Ho pensato che il nostro paradiso sarebbe andato in pezzi»,
ha detto una testimone del grande panico, riemersa sotto choc dal garage
nel quale si era rifugiata con la famiglia. Ma quale è stata la
reazione del presidente Donald Trump che solo pochi giorni fa si è
vantato di avere un «bottone nucleare più grande e potente di quello di
Kim Jong-un»? E che cosa può aver pensato il Maresciallo di Pyongyang,
che per mesi ha ricevuto (spesso su Twitter) notizie su piani di
«decapitazione» studiati dal Pentagono?
Nel 1964 il grande Sidney
Lumet diresse il film «A prova di errore»: la storia di uno stormo di
bombardieri strategici americani lanciati in un folle attacco nucleare
contro Mosca per una serie di falle tecniche e false deduzioni. Il
presidente era impersonato da Henry Fonda, che nella Seconda guerra
mondiale era stato tenente della ricognizione aerea nel Pacifico. Un
attore amatissimo e molto più credibile di The Donald, ma nel copione di
comandante in capo ordinava il lancio di due missili nucleari su New
York, per convincere i sovietici che Mosca era stata colpita
involontariamente. La pellicola apocalittica di Hollywood non mostrava
gli effetti dell’errore nucleare. Ma nel 1983 non ci è stato risparmiato
lo strazio dei parenti delle 269 vittime di un Boeing della Kal,
abbattuto da un caccia russo dopo essere stato scambiato per un aereo
spia americano. Alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan, un altro attore,
un altro personaggio più carismatico e affidabile di Trump. Ma nel clima
di sfiducia reciproca della Guerra fredda, come ricorda il New York
Times , Reagan non lesse il rapporto della Cia, convinto che i russi
avessero agito per errore (dicono che anche Trump legga pochissimo); a
Mosca pensarono che la Casa Bianca mentisse per giustificare un attacco
punitivo-preventivo e si sfiorò il conflitto.
I passeggeri del
Boeing Kal erano sudcoreani e la loro nazionalità ci porta
drammaticamente alla crisi in atto. Kim Jong-un ha ordinato una ventina
di test missilistici nel 2017. Ha minacciato di colpire Guam, le Hawaii,
tutte le città degli Stati Uniti. Poi a Capodanno ha detto di avere il
«bottone nucleare sulla scrivania», ma ha anche proposto ai sudcoreani
di discutere sulla partecipazione nordcoreana alle Olimpiadi invernali
di Pyeongchang a febbraio. Le trattative vanno bene, i nordisti al
momento alzano la voce nei colloqui solo perché vogliono mandare un
battaglione di majorette, bellissime ma in uniforme militare, ad
allietare gli spettatori dei Giochi. Un’atmosfera tutto sommato
confortante, viste le premesse.
Trump si attribuisce il merito
della svolta conciliante di Kim, sostenendo che è stata la sua fermezza a
procurarla (e forse ha ragione). Trump dice che sono in corso «grossi
colloqui» e bisogna «aspettare e vedere». Ma molti segnali indicano che
la finestra di opportunità per un negoziato è limitata: finita la
«tregua olimpica», a marzo, la crisi potrebbe riaccendersi in modo
definitivo. I preparativi sono in corso: il Pentagono, senza grandi
fanfare, ha schierato navi, portaerei e bombardieri vicino alla
penisola. A Guam sono arrivati dal Missouri 3 B-2 Spirit, i bombardieri
più avanzati della US Air Force, capaci di portare armi nucleari e gli
unici in grado di sganciare una MOP, la superbomba «convenzionale» da 14
mila chili che potrebbe polverizzare qualsiasi bunker di Kim.
Oggi
a Vancouver, in Canada, si riuniscono 16 ministri degli Esteri guidati
dall’americano Rex Tillerson per discutere di come «mettere la massima
pressione» sulla Nord Corea. Non sono presenti la Cina e la Russia
perché, dicono americani e canadesi, sono stati invitati solo i Paesi
che parteciparono alla guerra di Corea tra il 1950 e il 1953: e in
quella carneficina per difendere il Sud aggredito dal Nord, cinesi e
russi erano impegnati dalla parte sbagliata del fronte. Logica da Guerra
fredda, dice Pechino. Ma intanto anche l’esercito cinese si prepara al
peggio: il presidente Xi Jinping ha appena ispezionato una divisione che
partecipò alla guerra «contro l’aggressione degli imperialisti
americani». Nella zona di confine con la Nord Corea i cinesi hanno tre
corpi d’armata per complessivi 150 mila uomini. Quanti errori di calcolo
sono possibili?
Che cosa sarebbe successo se Kim, in quei
trentotto minuti di sabato, vedendo alla Cnn la notizia dell’allarme
missile sulle Hawaii avesse pensato a una menzogna americana per
giustificare un attacco preventivo? Questo mondo non è a prova di
errore.