il manifesto 1.12.17
Israele minaccia, il Giro esegue. Tolto “Ovest” da Gerusalemme
Israele/Palestina. Nel sito della corsa era stata aggiunta una dicitura più vicina al diritto internazionale
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
La Rcs Sport, organizzatrice del Giro d’Italia 2018 che partirà da
Gerusalemme, piazza lo scatto vincente, supera in volata Donald Trump, e
arriva prima alla proclamazione di fatto della Città Santa unita sotto
la sovranità esclusiva di Israele. Mentre circolano insistenti le voci
di un imminente riconoscimento Usa di tutta Gerusalemme capitale di
Israele, inclusa la sua parte Est, palestinese, occupata da 50 anni,
ieri gli organizzatori della celebre corsa a tappe hanno rimosso dal
sito ufficiale del Giro la dizione “Ovest” accanto a Gerusalemme per
indicare la sede della cronometro inaugurale prevista il prossimo 4
maggio. «Quella dicitura non ha alcuna valenza politica», ha comunicato
Rcs Sport, «indica soltanto l’area logistica della città in cui si
svolgerà la corsa. È stata subito rimossa da ogni materiale del Giro».
Sono
bastate le proteste di due ministri israeliani e la minaccia di
ritirare i cospicui fondi del governo Netanyahu per il Giro, per indurre
l’organizzazione e il direttore della corsa, Mauro Vegni, a rimuovere
all’istante la dizione “Ovest”. «Non esistono Gerusalemme Ovest e
Gerusalemme Est ma un’unica Gerusalemme capitale di Israele», hanno
tuonato i ministri della cultura e dello sport Miri Regev e del turismo
Yariv Levin. «Quelle pubblicazioni sono una infrazione delle intese col
governo israeliano e se non saranno cambiate – hanno minacciato –
Israele non parteciperà all’evento». Israele, si dice, avrebbe messo a
disposizione del Giro 10 milioni di euro e altri due milioni per la
partecipazione del campione britannico Chris Froome.
«Lo sport non
fa politica», avranno pensato quelli della Rcs Sport, o, peggio ancora,
avranno pronunciato banalità del tipo «Lo sport avvicina i popoli in
conflitto». Ma in questa terra tutto è politica. Lo dimostra proprio
l’idea del governo Netanyahu di usare il ciclismo del livello più alto
per un’iniziativa internazionale di pubbliche relazioni volta a
celebrare Israele e il 70esimo anniversario della sua fondazione.
Gerusalemme, proclamata tutta capitale di Israele con atti unilaterali
non riconosciuti, è il simbolo della questione israelo-palestinese. Se
Israele ripete che farà mai compromessi su Gerusalemme, i palestinesi
reclamano diritti su almeno una parte, quella Est, della città in cui
vivono da secoli. Tutto ciò i capi del Giro d’Italia non lo hanno tenuto
in conto. Vegni si giustifica sostenendo di aver concordato il percorso
della crono inaugurale tenendo conto delle linee guida della Farnesina
per evitare «polemiche politiche». Piuttosto avrebbe dovuto coinvolgere
anche i rappresentanti dei palestinesi se davvero, come afferma,
intendeva organizzare un evento sportivo per i due popoli. Invece li ha
coscientemente ignorati, assieme alle risoluzioni internazionali, per
non irritare Israele e per assicurare al Giro i milioni di dollari
promessi dal governo Netanyahu.
Il quotidiano Israel HaYom ieri
riferiva che Regev e Levin accusano gli organizzatori della corsa di
aver ceduto alle pressioni degli attivisti filo-palestinesi e di aver
introdotto la dizione “Gerusalemme Ovest” per rimarcare che la città è
composta da una parte ebraica e una palestinese. Almeno in parte è vero.
Più di 120 organizzazioni per i diritti umani, sindacati, associazioni
per il turismo etico, gruppi sportivi e religiosi hanno firmato un
appello per invitare il Giro a non andare in Israele in considerazione,
scrivono, delle «sue gravi e crescenti violazioni del diritto
internazionale e dei diritti umani dei palestinesi». Tra i firmatari ci
sono anche il linguista Noam Chomsky, i giuristi John Dugard e Richard
Falk, l’attore e drammaturgo Moni Ovadia, l’ex vice presidente del
Parlamento Europeo Luisa Morgantini, Fiom-Cgil e Usb nonchè le reti Pax
Christi, la Comunità di San Paolo ed Ebrei Contro l’Occupazione. Il 25 e
il 26 novembre in tutta Italia si sono svolti cicloraduni di protesta.
Manifestazioni che con ogni probabilità hanno indotto gli organizzatori
della corsa ad aggiustare il tiro almeno sul sito e il canale youtube
del Giro 2018. Poi è giunta l’istantanea e clamorosa retromarcia dopo le
proteste di Israele.
Debole la reazione palestinese. L’ambasciata
di Palestina a Roma ha diffuso un breve comunicato in cui, ricordando
lo status internazionale di Gerusalemme, si rammarica per la
politicizzazione del Giro d’Italia e rivolge una critica leggera a Rcs
Sport e a Vegni che, secondo i diplomatici palestinesi, agirebbero in
contrasto con la politica dello Stato italiano