Repubblica 9.11.17
Freud e gli altri “maestri del sospetto” ci
insegnano che inseguire modelli troppo ordinati produce danni.
Psicologici ma anche politici
Elogio del caos la forza della vita contro l’algoritmo
di Massimo Recalcati
L’uomo,
scrive Freud in una celebre metafora, «non è padrone nemmeno in casa
propria ». Con questa affermazione egli si pone in continuità con Darwin
e con Copernico: il primo frustra il narcisismo umano mostrando che la
nostra forma di vita non deriva da Dio ma dai primati; il secondo lo
frustra mostrando che la terra
non è affatto al centro
dell’universo ma ruota attorno al sole. Spetta però al padre della
psicoanalisi intaccare il punto di maggior prestigio dell’uomo: la
padronanza di se stesso, la proprietà della sua “casa” interna.
L’illusione del governo di sé che aveva ispirato la saggezza greca e
l’etica giudaico- cristiana e che aveva orientato la ragione filosofica
moderna da Descartes in avanti, viene meno.
In primo piano è
l’esperienza dell’ingovernabile che si rivela innanzitutto nella non
coincidenza tra la vita del soggetto e quella della sua coscienza. È la
lezione che Freud eredita da Schopenhauer e da Nietzsche: la forza
pulsionale della vita trascende la coscienza, la quale non è altro che
una formazione reattiva e difensiva nei confronti del carattere
debordante di quella forza. Siamo agiti da una spinta che non possiamo
domare né con la nostra ragione, né con la nostra volontà. Ogni sogno di
padronanza dell’Io deve essere abbandonato. Tutte le forme delle
cosiddette dipendenze patologiche — dal sesso, dal gioco, dalle
sostanze, dagli oggetti tecnologici — offrono un ritratto estremo ed
inquietante dell’ingovernabile: il giocatore d’azzardo, come il
tossicomane o l’alcolista, non possono resistere alla spinta maledetta
che li incatena perversamente alla loro passione. Questa dimensione
dell’ingovernabile contraddice un certo ideale superomistico di cui il
nostro tempo sembra vantarsi. Contraddice l’ideale ipermoderno di una
vita compiuta, sufficiente a se stessa, computerizzata, autonoma, capace
di governare con sicurezza il proprio destino. Ma la vita non è mai
riducibile a un algoritmo. Il caos non è l’opposto gnostico del cosmos,
ma la sua matrice, la sua ombra, il suo sangue. Sempre la vita contiene
un eccesso che ci sgomenta. Niente, scriveva Lacan, fa più paura della
«sensazione della vita». La vita che vuole vivere è una marea montante
che sembra spazzare via ogni intento educativo. Di fronte a questa marea
sappiamo, tra l’altro, che quanto più il discorso educativo prova a
divenire normativo nell’illusione di disciplinarla, tanto più esso
rischia di fomentarne il carattere sterilmente distruttivo. Un grande
psichiatra francese dell’Ottocento — Charles Lasegue — ha coniato a
questo proposito una massima luminosa: «L’insistenza genera sempre
resistenza». La sua applicazione è sotto gli occhi di tutti. Se gli
educatori insistono troppo nei loro divieti: «Stai fermo!» «Studia! »
«Mangia!», rischiano di ottenere il contrario di quello che avrebbero
voluto ottenere, generando, appunto, iperattività, difficoltà di
apprendimento, anoressia.
L’ineluttabilità della morte è un’altra
immagine forte dell’ingovernabile. I progressi della medicina, sostenuti
dalla scienza e dalla tecnica, non ci renderanno mai immortali.
L’inizio della vita porta già con sé il dramma della sua fine. I sofismi
filosofici che vorrebbero ridurre la morte a una apparizione estranea
alla vita si sciolgono di fronte all’evento sempre «prematuro» e
«innaturale », come direbbe Simone de Beauvoir, della morte.
Ma
cosa fare allora con l’ingovernabile? Si tratta di negarne l’esistenza
coltivando l’illusione di un mondo a nostra disposizione? Di imporre un
ordine ideale che escluda ogni forma di disordine? Possiamo pensare
davvero che la salute di una città o di un corpo sia garantita da
un’azione di governo o di cura che escluda per principio il disordine
dell’ingovernabile? La vita della polis — come quella del corpo —
fronteggia sempre qualcosa che sfugge al controllo e alla padronanza:
flussi migratori, violenza, criminalità, conflitti insanabili, odio e
invidie sociali. L’illusione di un governo totale del mondo ha animato i
deliri dei sistemi totalitari del Novecento e sostiene oggi i suoi
rigurgiti fondamentalisti. Il sogno totalitario è sempre un sogno di
piena padronanza: la città ridotta al monolinguismo di una etnia, di una
razza, di un solo popolo, di una sola religione, dell’identità del
sangue e del suolo, di una sola versione possibile della vita. Ma esiste
anche una versione più soft di esclusione dell’ingovernabile; per
esempio la medicalizzazione sospinta della vita, il corpo ridotto a un
ingranaggio massimamente efficiente che dominano il nostro tempo. È il
mito ipermoderno dell’uomo-macchina regolato dal principio di
prestazione.
Vivere facendo amicizia con l’ingovernabile è una
promessa impossibile? Un giusto governo della città — come quello di un
corpo — non può non implicare il vortice del cambiamento, la pluralità
irriducibile degli interessi particolari, la polifonia delle culture e
delle etnie differenti. Non si tratta di eliminare il disordine ma di
dare al disordine una giusta forma.
L’impatto con l’ingovernabile
ci costringe a convivere, a fare amicizia con lo straniero. Questo
comporterebbe un cambiamento radicale di mentalità. Non si tratta
affatto di rassegnarsi alla potenza del Male o del Caos, ma di fare
spazio a una vulnerabilità condivisa. Le arti della poesia e della
scrittura offrono già un esempio illuminante di quanto sia necessario
accogliere l’esposizione all’ingovernabile per rendere possibile la
creazione. Anche dalla psicoanalisi può venire un’indicazione preziosa:
l’accanimento nella volontà di governo che pretende di sopprimere il
disordine tende sempre a rovesciarsi nel suo contrario; un ordine
ottenuto con l’applicazione crudele del potere è peggio del male che
vorrebbe curare; ogni volta che l’ambizione umana cerca di realizzare un
ordine senza disordine si scontra fatalmente con delle manifestazioni
straripanti e anarchiche del disordine. Il governo giusto non è quello
che persegue lo scopo di annullare l’ingovernabile, ma quello che lo sa
ospitare. Vale per la vita del corpo come per quella della città. Non a
caso è lo stesso problema che fronteggia la grande arte di tutti i
tempi.
IL FESTIVAL Da domani a domenica 12, alla Mole
di Ancona, si svolgerà la prima edizione del Kum! Festival. Curare,
Educare, Governare. Il direttore scientifico della manifestazione,
Massimo Recalcati, terrà una lectio magistralis domenica alle 12,
all’Auditorium Orfeo Tamburi, dal titolo Volti dell’ingovernabile
nell’esperienza della psicoanalisi.
Fra i tanti ospiti Stefano Bartezzaghi, Andrea Bajani, Franco Cardini, Gad Lerner. Info: www.kumfestival.it