giovedì 9 novembre 2017

Repubblica 9.11.17
Le fake news? Tutta colpa dei filosofi postmoderni
MARCO BRACCONI

Il nuovo saggio di Maurizio Ferraris, “Postverità e altri enigmi”, indaga sull’origine delle disinformazioni di massa, salvando il ruolo del web
Può discendere da un tweet di Donald Trump un tema filosofico che contribuisca a definire il mondo in cui viviamo? Secondo Maurizio Ferraris non solo ciò è possibile, ma necessario. Perché la notizia falsa, ultimo anello della catena della postverità, è il sintomo di una rivoluzione che ci interroga e riguarda tutti.
Postverità e altri enigmi (Il Mulino) è il nuovo saggio del filosofo della “documedialità” e del nuovo realismo, un approdo quasi naturale vista la centralità attribuita dall’autore ai documenti e alla loro registrazione nella costruzione del mondo sociale. Non a caso il primo scopo del libro, innescato da un confronto con Alessandro Baricco su Robinson, è proprio quello di stabilire la rilevanza della questione postverità contro chi la derubrica a tema sociologico o a mero “problema giornalistico”. Se lo scrittore sosteneva l’assenza di novità storica nella diffusione di fake news (il potere ha sempre manipolato i fatti) per Ferraris invece la postverità non solo esiste, ma è fenomeno radicalmente nuovo e affonda le radici nella filosofia di fine Novecento.
Non sono stati forse i postmoderni, sulle orme del nietzschiano “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, a mettere la “verità” tra virgolette in nome di una emancipazione del soggetto davanti ai poteri? Ebbene secondo l’autore le cose sono andate ben al di là delle loro perfino buone intenzioni: ciò che quei pensatori intendevano come liberazione dal dogmatismo della Verità ha finito per produrre, salendo sulla giostra del digitale, anche l’epoca della postverità. Per il filosofo la strada è affrontare il tema come una parte del processo che dalla società dei media conduce al mondo “documediale” di oggi, fondato come in passato sulla registrazione dei documenti ma dove per la prima volta i documenti circolano da tutti e verso tutti, in uno spazio globale e a velocità della luce. Soprattutto, un mondo dove ognuno può organizzarli e diffonderli come e quando vuole, anche se non ha nessun titolo per farlo. Così, se il pensiero postmoderno ha creato le premesse teoriche per la postverità, è nella Rete e nella sintassi dei social network che l’idea di “verità alternativa” ha trovato il suo habitat di massa. Attenzione però a demonizzare il web, intanto perché nella visione di Ferraris la Rete non è causa di comportamenti sociali ma rivelazione di attitudini umane ad essa preesistenti. E poi perché è proprio nella tecnica che risiede una possibile risposta all’enigma della postverità. Un enigma che parte dalla constatazione empirica di un reale in cui la tradizionale “bugia del potere” diventa fake a portata di ognuno e in cui ognuno trasforma le proprie convinzioni in verità oggettive; un sistema senza classi riconoscibili, all’interno del quale è il singolo a possedere i mezzi di produzione dei documenti/oggetti sociali. Quasi, nota Ferraris, il sogno rovesciato di Marx: una società con un esercito di lavoratori che lavora anche di notte, postando documenti in Rete per il solo profitto dei gestori ma con la sola ricompensa di uno dei più radicali bisogni spirituali dell’essere umano: il riconoscimento. Ecco che la postverità non è più “stortura” del sistema, piuttosto il tic di un passaggio d’epoca che per l’autore invita la filosofia a riconsiderare il tempo in cui ci troviamo. L’epoca documediale ci dice infatti che la fase del capitale che scambiava merci/documenti ha lasciato il posto all’era in cui lo scambio riguarda direttamente i documenti; allo stesso modo, la postverità succede al populismo figlio di quella società dei media travolta da Internet. È qui che il saggio ritorna al nodo filosofico della questione: il vero e il modo con cui lo distinguiamo dal falso nell’inedito contesto della dominanza digitale. Dosando il registro accademico con un istinto divulgativo spesso capace di divertire, trascorrendo da Kant all’amato Derrida, il filosofo suggerisce come antidoto alla postverità di ripartire da Agostino e dal suo “voler fare” la verità. Perché l’enigma della postverità è faccenda dell’homo habilis più che del sapiens: è la tecnica della convalida e della verifica di ogni singola affermazione la sola che ci permette di dire che questo, certamente, è (vero). Una prassi della verità che Ferraris non affida solo all’ontologia di “ciò che indiscutibilmente è” o alla sola epistemologia di “ciò che sappiamo essere”. Ma un fare “tecnico”, paziente e razionale, che sia capace di proteggerci dalla dittatura delle Verità assolute e dalla tentazione di concepire la nostra come un’assoluta (e individuale) verità.
IL LIBRO
Postverità e altri enigmi
( Il Mulino, pagg. 181 euro 13)