Corriere 9.11.17
Il libro di Bignami
Una missione spaziale: divulgare
di Edoardo Boncinelli
«Ogni
movimento rivoluzionario è romantico per definizione». Tale
affermazione del 1922 di Antonio Gramsci fa da apertura ideale
all’ultimo libro di Giovanni Bignami, Le rivoluzioni dell’universo. Noi
umani tra corpi celesti e spazi cosmici (Giunti, pp. 227, e 20). Si
tratta di un libro divulgativo di astronomia e cosmologia scritto da un
astrofisico italiano recentemente scomparso, che dopo anni di lavoro di
ricerca sul campo si era dedicato con successo anche alla divulgazione.
Lui, classe 1944, come me, era convinto che la divulgazione fosse molto
importante e quasi un dovere per uno scienziato che ama la sua materia.
Un dovere soprattutto verso i giovani ma non solo.
Il libro è
dunque di facile lettura e parla nientemeno che dell’universo,
riportando le ultime scoperte. In cinque campi, corrispondenti secondo
l’autore a cinque rivoluzioni principali. Il primo è quello della
rivoluzione cosmologica, quella più ampia e comprensiva, quella che
parla dell’universo e della sua storia, quale ce la figuriamo oggi, dal
primo inizio con il Big Bang, la sua successiva travolgente espansione,
la formazione dei buchi neri, recenti o primordiali. Una prospettiva
recente tenderebbe a vedere nella relativa abbondanza di buchi neri
primordiali una possibile spiegazione della materia oscura, quel 25%
della materia presente nell’universo che non si riesce a vedere e che
«frena» l’espansione stessa dell’universo. Per non parlare delle onde
gravitazionali che incrociano nello spazio cosmico e ci investono
continuamente anche se in maniera impercettibile, raggiungendo una certa
intensità solo in caso di collisione di due buchi neri di grande massa.
Una serie di cose, insomma, di cui solo qualche decennio fa non si
sapeva niente di preciso.
Ma non esistono solo le stelle o le
galassie nello spazio, esistono anche i pianeti, e in anni recenti è
stata la caccia a un certo tipo di pianeti che ha tenuto banco nelle
ricerche spaziali. Perché? Per due motivi diversi ma complementari:
trovare pianeti appartenenti a sistemi solari diverso dal nostro, e
detti perciò esopianeti, che siano eventualmente abitabili da noi oppure
tali da ospitare, o avere ospitato, qualche forma di vita. Le due cose
sono diverse ma non del tutto diverse; diversa è la prospettiva. Una è
puramente utilitaristica. Se e quando dovremo abbandonare il nostro
pianeta perché non ci si può più vivere, dove potremmo fuggire e
stabilirci? Occorre cioè un pianeta abitabile, che mostri
caratteristiche geologiche, termiche, chimiche e fisiche compatibili con
una nostra sopravvivenza, anche in condizioni forzate ma compatibili
con il nostro livello di tecnologia. Questo non potrà accadere,
ovviamente, domani ma prima o poi potrebbe essere una necessità ed è
meglio, perciò, accertarci per tempo se e dove esistono le condizioni.
L’altra
faccenda è di carattere più speculativo: troveremo qualche forma di
vita da qualche parte? Esistono cioè condizioni compatibili con lo
sviluppo della vita, come sul nostro pianeta, da qualche altra parte del
cosmo oppure no? E di quali forme di vita si tratta? In particolare,
esistono condizioni compatibili con una forma di vita avanzata,
intelligente e magari tecnologicamente orientata? Quello che è successo
fino a oggi è stato che sorprendentemente di esopianeti promettenti ne
sono stati trovati tanti, e il loro numero cresce ogni giorno.
Queste
considerazioni appartengono al secondo e terzo campo di investigazione
cosmica, con le riflessioni finali riservate al possibile futuro
dell’universo, della nostra Terra e di noi orgogliosi Homo sapiens. C’è
da smarrirsi in queste considerazioni, ma l’uomo non si smarrisce e
ancora meno lo scienziato appassionato e consapevole.