Repubblica 9.11.17
La Cina mostra i muscoli Il vertice del sorpasso tra Xi Jinping e Trump
Rapporti di forza capovolti nel summit tra i due presidenti Usa in crisi di leadership e Pechino allarga la sua influenza
Gli
occupati cinesi sono 776 milioni: più dell’intera popolazione europea
Ma l’America può contare ancora su una forza militare che non ha rivali
di Federico Rampini
PECHINO.
Nel primo vero summit fra Donald Trump e Xi Jinping, cominciato ieri,
va in scena un ribaltamento di forze spettacolare. La forza è passata di
mano? La scenografia del padrone di casa è imperiale, comincia dalla
passeggiata dentro la Città Proibita, monumento a una civiltà
pluri-millenaria. Anche in Occidente si diffonde una narrazione: è Xi il
più forte dei due, il leader che ha il pieno controllo di una
superpotenza in ascesa e tesse nuove reti di alleanze planetarie. Trump è
indebolito in casa, isolato in molte parti del mondo. La coreografia
maestosa di Pechino vuole sancire la parità assoluta tra le due nazioni,
ma non nasconde un implicito senso di superiorità. Primo leader cinese
dopo Mao Zedong ad avere “consacrato” la sua dottrina nella
Costituzione, Xi teorizza apertamente che il modello confuciano,
autoritario e paternalista della sua governance garantisce stabilità,
progetti di lungo periodo, mentre la liberaldemocrazia occidentale è il
regno del caos. Magnanime, cita la guerra del Peloponneso e la “trappola
di Tucidide” per ammonire l’America a non cercare lo scontro: nella sua
visione del mondo c’è posto anche per noi, è “win-win”, tutti possono
guadagnarci. Sottostando alle regole cinesi. Il tempo lavora per loro.
Ma è così semplice? Siamo già passati dal secolo americano al secolo
cinese, e questo vertice consacra un sorpasso?
LE FORZE CINESI
Xi
ha un’economia che continua a crescere a ritmi annui superiori al 6%,
l’occupazione cinese a quota 776 milioni ha sorpassato l’intera
popolazione europea, è due volte quella americana. Non più solo
competitività da bassi salari ma tanta ricerca, infrastrutture
modernissime, eccellenze tecnologiche, economia digitale. Dalla
ricchezza si estrae il soft power: già a Davos il presidente cinese si
presentò come il difensore della globalizzazione, di un mondo aperto,
una diga contro i protezionismi. Ha mantenuto l’adesione agli accordi di
Parigi sul clima. Con la Nuova Via della Seta (Belt and Road) propone
al resto del mondo un titanico progetto di infrastrutture per facilitare
gli scambi: autostrade e ferrovie, porti e aeroporti, oleodotti, fibre
ottiche. E tanti capitali per finanziare le costruzioni anche a casa
degli altri. Dall’Asia centrale all’Europa all’Africa.
LE FORZE AMERICANE
Gli
Stati Uniti restano ancora la prima economia mondiale e la crescita
accelera al 3%, la piena occupazione è vicina, le Borse alle stelle:
Trump non si stanca di ricordarlo a chi prevedeva l’Apocalisse dopo la
sua elezione. La forza militare Usa resta ineguagliata, la Cina è ancora
lontanissima dall’avere una rete di basi in quattro continenti o una
capacità di proiezione su teatri di conflitti remoti. L’America ha
raggiunto l’autosufficienza energetica e mantiene un vantaggio
nell’innovazione tecnologica, nella capacità di attirare talenti.
I PUNTI DEBOLI DI TRUMP
La
fragilità più evidente degli Stati Uniti è nella leadership: un
presidente al 36% nei sondaggi, ha appena perso due test elettorali in
Virginia e New Jersey. L’incapacità di venire a capo della minaccia
nucleare in Corea del Nord segnala i limiti della potenza militare.
Scandali a ripetizione, l’indagine del Russiagate, fanno già di questo
presidente una “anatra zoppa”. Se perdesse le legislative di mid-term
tra un anno perfino l’impeachment diventerebbe meno fanta-politico.
LE FRAGILITÀ NASCOSTE DI XI
Un
debito pubblico superiore al 300% del Pil. Un sistema bancario opaco e
malato di dirigismo. Un eccesso di capacità produttiva in troppi
settori, costretti a esportare alimentando macro- squilibri commerciali
col resto del mondo. Troppa concentrazione di potere personale in capo a
Xi: è una forza che tradisce insicurezza, scarsa fiducia nella sua
stessa nomenclatura. Così come la censura su Internet, sui social media,
sulle tv e sui giornali. Nell’Asia vicina è palpabile il “bisogno di
America” per controbilanciare l’espansionismo cinese: le tappe di Trump a
Tokyo e Seul sono andate bene, proprio per questo. Il Giappone spinge
per includere l’India (“Indo-Pacifico”) in un cordone di democrazie.
I RISCHI PER L’OCCIDENTE
Trump
ha intuito che la superpotenza economica cinese è una “tigre di carta”
perché troppo dipendente dall’export, obbligata a riciclare i suoi
immensi attivi in buoni del Tesoro Usa. Riecheggia critiche di sinistra
(Bernie Sanders) e di vari premi Nobel (Stiglitz, Krugman, Deaton)
sull’impoverimento da globalizzazione, sulle regole del gioco truccate a
favore dei cinesi. Dumping, aiuti di Stato, furti di proprietà
intellettuale: tutte le accuse di Trump sono fondate. Gli manca una
proposta organica per riscrivere quelle regole. Rischia di accontentarsi
di gesti a effetto, come i 9 miliardi di contratti che Xi ha preparato
per le multinazionali Usa. Il presidente americano non sa costruire una
coalizione tra i “perdenti della globalizzazione” che costringa i cinesi
a negoziare un nuovo assetto del commercio mondiale. E gli uomini della
Goldman Sachs che lo circondano qui a Pechino non hanno la stessa
agenda dei metalmeccanici che lo votarono un anno fa.